giovedì 5 novembre 2015

Piove un pò troppo

Piove. Fortissimo. Fa un rumore come di risacca.
Dopo tanto pregare, è arrivata la stagione delle piogge, e quest’anno pare davvero pesante a causa del fenomeno El Nino.
Un muro d’acqua, come una cascata dal cielo tutta la notte e gran parte della giornata.
Difficile da descrivere: immaginate un cielo sereno, pieno di stelle, con una luna grande e luminosa da fare ombra. E di colpo non qualche goccia, ma milioni di milioni di pezzi di nuvola, che non si capisce da dove sian saltati fuori.
Il problema è che adesso piove troppo. Campi allagati, case portate via, persone annegate.
Da una parte la pioggia è certamente un dono di Dio, perché acqua è sinonimo di buoni raccolti e di qualcosa da mettere sulla tavola anche per i più poveri. Un buon raccolto assicurerà il pagamento delle rette scolastiche a tutti quei genitori sempre angosciati dal fatto che i loro figli possono essere mandati a casa dalla “Secondary School” se il denaro non arriva in tempo. Pioggia vuol anche dire che le cisterne dell’acqua piovana vicino alle case sono ora piene, e permetteranno di evitare i viaggi al fiume con la tanica sulle spalle almeno per qualche mese.



Però indubbiamente la pioggia è sempre un problema per il nostro Centro che si trova a più di 20 km dall’asfalto ed è raggiungibile solo attraverso strade terribilmente sconnesse, dove si sprofonda nella polvere durante la stagione secca e dove si annega nel fango argilloso durante la “rainy season”. Sulla strada si aprono voragini enormi che pian piano la trasformano in un torrente in piena. Spesso i ponticelli crollano sotto il peso della corrente.
Le condizioni della nostra strada fanno sì che moltissimi pazienti decidano di non intraprendere il cammino faticoso per raggiungere Chaaria, sempre così sperduta e poco collegata. Quando possono si recano ad un centro vicino a casa, ricevendo lì qualche cura del caso e rimandando di qualche settimana la visita al grande ospedale.
Altri decidono di fare a meno dell’ospedale completamente: si rivolgono a guaritori tradizionali o decidono per esempio di partorire a casa, aiutate da levatrici non qualificate. Anche per chi decide di andare in ospedale, a volte è comunque impossibile nella stagione delle piogge: è di ieri la triste notizia di una donna che ha tentato di andare in un altro ospedale per complicazioni legate alla gravidanza, ma il mezzo da lei affittato si è impantanato. La mamma quindi non ha potuto raggiungere quel centro di salute ed è stata riportata a casa, dove levatrici tradizionali l’hanno aiutata a partorire un feto già morto. Putroppo poi, anche la mamma è deceduta per emorragia post-parto.
C’è poi da dire che in una cultura di sopravvivenza come la nostra i lavori dei campi prendono il primo posto su tutto: nessuno penserebbe ad una cura odontoiatrica quando c’è da togliere l’erbaccia nel campo; e se ci sono alcune ore di sole, si corre nella “shamba” con la “panga” in mano, cercando di completare il lavoro prima che riprenda a diluviare.
Per noi poi tutto diventa più difficile: il camion delle medicine non arriva fino a Chaaria perchè altrimenti rimane impantanato. Siamo noi che dobbiamo andare a prendere i farmaci a Meru con non pochi rischi per chi guida.
Alle volte poi dobbiamo uscire a salvare qualcuno dei nostri pazienti perchè l’autista del matatu dove viaggiavano per raggiungere Chaaria si è ritrovato fuori strada con l’albero motore completamente sepolto in una palude di fango.
La pioggia in qualche modo aumenta il senso di isolamento e di impotenza: siamo qui a disposizione, con tutto il personale pronto, ma la gente non viene, o forse spesso non riesce a raggiungerci.
Ma è pur vero che la stagione delle piogge porta altri aspetti positivi da non sottovalutare, come la possibilità di studiare e di prepararci meglio a curare i nostri pazienti, un po’ più di tempo per pregare e per chiedere al Signore di essere sempre la nostra forza, una maggior tranquillità per assistere e visitare i nostri malati già ricoverati.
Come rifiutare per esempio un’ecografia alla spalla di un vecchietto che mi chiede di posare la sonda direttamente sul punto dolente? O come non fare l’elettrocardiogramma al paziente iperteso che ha fatto magari 4 giorni di viaggio per raggiungere Chaaria da Marsabit?
La Missione è più silenziosa e riflessiva quando piove, quasi per prepararsi al grande afflusso di pazienti che aspettiamo da metà dicembre in poi, fino almeno alla fine di giugno. E’ anche molto più ricca di insetti di ogni tipo: dalla mantide religiosa alle libellule, dagli scarafaggi agli scarabei, dai mosconi alle anofeli portatrici di malaria.
Ora vi saluto e vi abbraccio, chiedendo scusa per quanto forse questa breve lettera sarà confusa, ma capitemi: è sera tardi e butto giù dei pensieri così come mi vengono, senza filtri.


Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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