venerdì 27 novembre 2015

Rubare

Piu’ parlo con altre Missioni o con ONG impregnate nel Terzo Mondo, e piu’ mi rendo conto che e’ un mal comune.
A Khatroum per esempio e’ obblgatoria la perquisizione per il personale all’entrata ed all’uscita.
Ma in questo caso non diventa assolutamente mezzo gaudio!
Siamo qui a spendere la nostra vita per gli altri, e lo facciamo con ritmi che non sono assolutamente normali: anche ieri, con emergenza nottura alle due ed una seconda chiamata alle quattro, le ore di lavoro sono state forse 20, e quelle di riposo appena 4.
Quando poi prendi coscienza di un grosso furto, avvenuto praticamente sotto i tuoi occhi, probabilmente da parte di persone dello staff che hanno comunque la capacita’ di far le cose di nascosto e non vengono quindi mai prese sul fatto, allora lo scoraggiamento fa capolino nel tuo cuore.
Si ruba proprio tutto. Ci rendiamo conto per esempio che esiste un flusso ininterrotto ed impercettibile di medicine che “scompare dai nostri carrelli; a volte appaiono ricevute false o contraffatte alla cassa; gli strumenti della sala operatoria, gli apparecchi per la pressione, le macchinette per la glicemia si volatilizzano; evaporano gli strumenti della manutenzione, i vestitini per i bambini malati, i regolatori per le bombole dell’ossigeno, ed oggi pare scomparso anche un concentratore di ossigeno. 
Proprio oggi dal tavolo del mio studio sono scomparsi 1000 scellini (circa 10 euro): niente di trascendente come valore economico, ma davvero brutto quando considero che è qualcuno che lavora con me che ha trovato il coraggio di rovistare nel mio cassetto, sfruttando magari una lunga assenza in sala operatoria.


Per non parlare dei malati che si fanno portare dei vestiti di straforo nell’orario di visita, e letteralmente fuggono dall’ospedale, oppure quelli che, alla dimissione, tengono il pigiama sotto i vestiti ordinari, in modo da potersene impadronire e non essere sorpresi.
Spariscono carta igienica e saponette.
Tutto questo scoraggia tremendamente, perche’ hai la certezza che si tratti di membri dello staff (ed a volte di pazienti), cioe’ gente con cui lavori o per cui ti spendi; gente che beneficiano del posto di lavoro, dello stipendio... e poi ci pugnalano alle spalle.
Riflettevo ieri, dopo aver scoperto un ennesimo furto, portato a termine probabilmente da una persona a noi molto vicina che era riuscita persino a procurarsi una copia della chiave della stanza, che avrei preferito una bella rapina a mano armata: se almeno fossero venuti con le panghe, con i fucili e con le frecce, almeno avrei avuto la certezza che erano malviventi. I soldi se li sarebbero presi lo stesso; non mi avrebbero probabilmente fatto del male perche’ non avrei certo opposto resistenza... ma almeno non avrei la terribile sensazione che ho ora: e cioe’ che il ladro e’ qui con noi, mi sorride, e magari si lamenta anche se non gli paghiamo 5 minuti di straordinari.
I furti scoraggiano: ti chiedi che senso ha sacrificare la vita per loro, se questo e’ il livello della loro comprensione.
E’ chiaro che i Bianchi sono spesso considerati come una Banca da svaligiare... ma che siano i nostri collaboratori a farlo è davvero molto dura. Ci si guarda in giro e non si sa piu’ di chi aver fiducia.
Ci si chiude sempre di piu’... e comunque l’impressione e’ quella di una barca con tantissime falle. Appena pensi di averne riparata una, se ne apre una peggiore della precedente.
“ Lo scoraggiamento e’ il seme del diavolo”, dicevano i Padri della Chiesa... perche’, quando si e’ scoraggiati, poi non si ha piu’ la forza di reagire e di migliorare.
Pregate per noi perche’ questi furti sono come dei continui pugni nei fianchi che ci sfibrano e minano alla radice la nostra resistenza emotiva.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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