venerdì 25 dicembre 2015

L'emergenza natalizia

Il bimbo di sei mesi di cui vi avevo accennato ieri non è andato di corpo. La sua pancia stamattina era ancor più distesa e le condizioni generali un po' peggiorate. Nel sondino nasogastrico si raccoglieva liquido biliare.
Dall'ano stamane fuoriusciva muco misto a sangue. Ho quindi fatto una visita rettale, molto delicatamente, ed ho palpato una massa a pochi centimetri dall'ano.
Qualcosa in me resisteva l'idea che si trattasse di un caso chirurgico, e non perchè oggi è Natale, ma perchè operare un bimbo di sei mesi comporta un rischio elevatissimo sia dal punto di vista anestesiologico che prettamente chirurgico.
L'altro problema è che non si riusciva proprio a trovargli una vena: Jesse ci ha messo quasi un'ora, ma alla fine ce l'ha fatta. Avrei quasi sperato che Jesse mi dicesse che non si sentiva di anestetizzare un bimbo tanto piccolo, ma lui ha detto: "i rischi sono alti, ma se non operiamo, il bimbo è comunque spacciato".
Ho parlato con il padre del bimbo: la mamma non può decidere niente nella cultura che vige nel Nord Est del Kenya!
Lui ha immediatamente dato il suo consenso, ed ha addirittura aggiunto una frase che oggi mi ha commosso: "lo so che sei cristiano e che oggi per te è una festa importante, ed io, come musulmano, ti ringrazio che in un giorno festivo non rifiuti di aiutare mio figlio!".
Siamo comunque riusciti ad andare a Messa con i pazienti, mentre il bimbo riceveva la prima flebo preoperatoria.


Sono entrato in sala pieno di speranza: pensavo che si trattasse di intussuscezione intestinale, e mi auguravo che sarebbe bastato spingere fuori la sezione intestinale incuneata all'interno di un'altra. Mi auguravo un intervento rapido, facile e risolutivo!
Per me è stato impressionante aprire quel bambino così piccolo: in quel minuscolo addome era tutto in miniatura, e gli organi erano estremamente piccoli e vicini tra di loro.
Ho in effetti trovato una lunghissima invaginazione intestinale in cui il tenue era entrato attraverso la valvola ileo-cecale giungendo fin quasi all'ano.
Purtroppo però abbiamo anche trovato una grossa perforazione del sigma. Ho comunque tentato la disinvaginazione che è stata possibile fino al colon destro. A questo punto però non c'è più stato verso di riuscirci...anzi, nel tentativo di farlo si sono verificate altre due lacerazioni, una sul colon ascendente ed un'altra sull'ileo terminale.
Abbiamo quindi dovuto fare un'emicolectomia destra con anastomosi ileo-trasversa. Da ultimo abbiamo riparato la grossa perforazione sul sigma.
L'altro problema si è verificato al risveglio: Jesse non riusciva a far ripartire la respirazione spontanea, ed il bimbo era in ipotermia,
causata probabilmente dal tempo in cui i visceri sono rimasti fuori della cavità peritoneale.
Il bimbo si era anche anemizzato, ma non avevamo sangue in frigo, e la mamma non poteva donare in quanto stava allattando. Il padre invece era tornato a Mandera, e noi non avevamo tempo di aspettare. Ci voleva sangue subito!
"Che gruppo sanguigno ha il bambino?", chiedo allora io, mentre Jesse disperatamente tenta di svezzare il piccolo dal respiratore. "A positivo", mi dice Makena.
"Benissimo! Dono io e risolviamo il problema".
Mentre il laboratorista mi preleva il sangue, io mi sento interiormente molto bene. Oggi è Natale, e noi abbiamo speso molte ore in sala per salvare la vita di questo piccolo "Gesù Bambino" musulmano. Ora gli dono anche il mio sangue e spero che esso possa aiutare il bimbo a sopravvivere.
Nell'ora di adorazione serale ho pregato molto per lui.
Ho rivisto il piccolo paziente poco fa, alle ore 22.30: finalmente è completamente sveglio, ha ora febbre a 38.5, ma questo ci può stare con la terribile complicanza intestinale che probabilmente non durava da un giorno.
Dico una preghierina per lui mentre gli metto una mano sulla pancia e controllo che tutto vada bene nel post-operatorio; nel mio cuore sussurro: "Gesù Bambino, fai guarire il piccolo Mahadi"

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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