sabato 16 gennaio 2016

Il sabato del villaggio

Il sabato del nostro sperduto villaggio di Chaaria, per molta gente che qui vive, è probabilmente identico a quello che Leopardi descrive. Certamente i ritmi vitali di Chaaria non sono molto diversi da quelli ottocenteschi descritti dal nostro grande poeta.
Ma il sabato dell'ospedale è totalmente diverso.
Per noi è diventato una specie di incubo: siamo di necessità sotto staff, perchè ci sono i riposi da dare al personale, ma la gente continua ad affluire sempre più numerosa. L'ambulatorio brulica di pazienti, ma al sabato abbiamo solo un clinical officer, invece dei quattro solamente in turno.
Di medico ci sono solo io perchè la dottoressa ha il weekend libero. In reparto gli infermieri sono di meno e si sentono tirati, perchè i letti sono tutti pieni.
Oggi, con il personale di sala ai minimi termini, abbiamo avuto una seduta operatoria da paura, a cui si sono aggiunte due emergenze: un'occlusione intestinale ed un cesareo d'emergenza.
Si corre dal mattino alla sera, ed il sabato ormai è diventato una normale giornata feriale. Provi qualche moto di innocente gelosia quando vedi i volontari che vanno a fare la gita a Meru in pomeriggio, visto che loro sono liberi. Ma la tua vita è qui in ospedale, e lo sai che il tuo sabato non è nel villaggio a passeggiare o a bere una birra in un locale: il tuo posto è tra i malati che hanno bisogno di te e che a te si affidano.
Il sabato sera ti senti morto di fatica, ma qualcosa nel cuore di fa sentire rilassato: sarà perchè domattina dormirai un'ora in più in quanto la preghiera  è più tardi, o forse sarà quel senso di soddisfazione che ti fa dire: anche oggi ho fatto tutto quello che potevo.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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