domenica 10 gennaio 2016

Strappare alla morte quanta più gente possiamo

Questa mattina l’alba è eccezionale. Una palla rossa enorme sta rapidamente salendo dall’orizzonte. Mi sono appena alzato e non riesco a staccare lo sguardo da un tale spettacolo mozzafiato. Sole nascente nella nostra vita piena di tribolazioni e problemi. L’alba è d’una bellezza arcana a cui, fortunatamente, non riesco ad abituarmi. Mi avvio verso la cappella: almeno oggi non sono in ritardo!
Purtroppo però subito dopo le lodi mattutine con i Fratelli vengo chiamato fuori di chiesa da Kathure che mi dice di correre subito in ospedale. Non ci penso due volte: in questo ho la certezza che il Cottolengo sarebbe contento di me, e mi sento nel cuore le sue parole: “Và e corri come sulle ali della carità, perché non è lasciare Dio, quando lo lasci per andare a servire lo stesso Iddio che soffre nel bisognoso!”
Quando arrivo all’ambulatorio mi trovo davanti una giovane donna tutta coperta di polvere. E’ in coma, ed ha un respiro molto affannoso. Sembra stia facendo gli ultimi tentativi di rimanere in vita. E’ tutta gonfia ed è spessissimo preda di violente convulsioni. Quasi senza pensarci le metto una mano sulla pancia e mi rendo conto che è gravida ed è a termine.
Mwendwa, questo il suo nome, proviene da Rikana, un villaggio poverissimo fatto di capanne di paglia, a non più di 14 Km da Chaaria. E’ stata trasportata su un carretto trainato da una mucca. Questo ha reso il tragitto molto lungo e difficoltoso: è arrivata a Chaaria stremata. 




Mi rendo subito conto che si tratta di una complicazione molto seria della gravidanza, chiamata eclampsia, ma nonostante i nostri tentativi di terapia, la giovane donna è spirata davanti a me, prima che la sala operatoria fosse pronta per un cesareo d’urgenza. Io mi sento molto male, ma l’infermiera che è con me prende il fetoscopio e lo mette sulla pancia della mamma: poi mi urla che il battito del piccolino c’è ancora e che devo agire subito. Quasi come un automa, mi metto i guanti e velocemente apro l’addome della mamma che, ormai in paradiso, non ha bisogno di sala operatoria come di anestesia e tiriamo fuori un bambino in pessime condizioni. Lo rianimiamo a lungo massaggiandogli il piccolo torace e insufflando ossigeno “con l’ambu”, ma purtroppo il bambino ci lascia in meno di due ore.
Una doppia sconfitta di cui cerchiamo di darci una ragione: è arrivata troppo tardi!... qualche ora fa sarebbe stato tutto diverso!
Ma poi veniamo richiamati al senso della realtà: bisogna parlare con il marito che è seduto appena fuori dalla “room 17” dove tutto questo è avvenuto. Lui aveva già intuito, perché i muri sono sottili, le finestre aperte, e lui ci aveva sentito parlare mentre eravamo chiusi nella stanza.
A muso duro ha ricevuto la notizia, e la sua risposta è stata per me angosciante: “ Mwendwa e mio figlio sono morti a causa del malocchio” (maroghi come dicono qua).
A niente sono valse le mie spiegazioni sul tipo di complicazione verificatasi e sul ritardo nel venire in ospedale dovuto alla mancanza di mezzi di trasporto. Il marito era convinto di quel che diceva, e sapeva anche chi era la strega che aveva operato il “witchcraft”. Nella sua mente ora c’era solo il desiderio di vendicarsi. Gli ho detto di non aggiungere dolore alla situazione già triste, ma ormai lui non mi ascoltava più. L’ho pregato di venire a vedere i corpi della moglie e del suo neonato, ma lui ha rifiutato dicendomi che non era secondo la sua cultura guardare i corpi dopo la morte.
Per cui se ne sono andati tutti: lui e tutto il seguito di donne che aveva accompagnato la paziente. Li ho rivisti dopo 5 giorni, quando sono venuti a prendere il corpo per il funerale, ed è allora che ho conosciuto altri risvolti inquietanti della vicenda.
Il marito, insieme ad altri del suo clan, era andato a casa di una vecchietta che loro consideravano una strega e l’avevano bruciata viva. L’avevano legata con mani e piedi dietro la schiena, l’avevano cosparsa di cherosene e le avevano dato fuoco. Alla mia espressione inorridita, molti membri dello staff sostenevano che si trattava di una legittima forma di giustizia popolare che avrebbe impedito a questa strega di creare altri problemi e di danneggiare altre famiglie.
La superstizione, e soprattutto la certezza che il malocchio e la magia esistano, sono profondamente radicati nella nostra gente. Nessuno li può convincere del contrario. Spesso hanno la tendenza a cercare un responsabile quando qualcosa va male: se una persona giovane muore, se gli affari vanno male, se il matrimonio si sfascia deve essere un caso di “witchcraft”, e l’unico modo di liberarsene è uccidere la strega cattiva e poi andare da un mago buono a farsi fare il contro-malocchio. Queste credenze convivono tranquillamente con una vita cristiana anche impegnata: è come se il Cristianesimo non sia andato molto più in là dell’epidermide, mentre in profondità sopravvivono credenze ataviche spesso attratte da una visione paurosa delle forze arcane. In questo mondo di superstizioni e paure ci sono spiriti spesso malvagi capaci di fare del male agli uomini, quando chiamati a questo da uno stregone cattivo.
Ormai non c’è più nulla da fare. Quella povera vecchia è stata bruciata tra la gioia di coloro che hanno assistito al rito. Non mi resta che consegnare il corpo di Mwendwa che sarà sepolta vicino a casa, ed avrà un funerale religioso (non ho avuto la forza di chiedere a quel marito a quale denominazione cristiana appartenessero). La vecchia strega invece è stata ridotta in cenere e nessuno ha detto una preghiera per lei. Chissà se poi qualcuno ha seppellito i resti!
Meno male che poi a Chaaria capitano anche cose radicalmente diverse da questa; cose che ci fanno toccare con mano che la vita comunque continua e che la morte non può avere l’ultima parola. Per esempio abbiamo avuto in ospedale un caso di “tripletta”: una mamma è venuta da casa; non aveva fatto alcun controllo ante-natale. E’ stata accompagnata in sala parto immediatamente senza neppure cambiarsi perché il tempo era vicino. Quando ha partorito, con sorpresa di tutti sono usciti non due ma tre gemellini, alquanto piccoli per la verità, ma tutti con una gran voglia di vivere. Questa donna, pur avendo già tre figli a casa, ha gioito ed ha ringraziato Dio per il nuovo dono di vita appena ricevuto. A poco più di mezz’ora da tale evento molto raro siamo stati chiamati per un cesareo urgente: una giovane con pressione alta e condizioni generali simili a quelle di Mwendwa. Questa volta però siamo arrivati in tempo, e con gioia e trepidazione abbiamo tirato fuori due gemelli sanissimi. E stata proprio una bella esperienza: due parti e cinque bambini... un vero record anche per Chaaria.
Ecco cari amici che la vita continua tra sconfitte e vittorie. Siamo contenti di poter far qualcosa per la gente che ha bisogno di noi. Spesso ci scontriamo anche con una cultura che ci sembra così lontana dalla nostra ed a volte crudele, ma dobbiamo amare il nostro prossimo così com’è e dobbiamo cercare di “strappare alla morte” quanta più gente possibile. Anche in questo ci sentiamo sostenuti dalla vostra amicizia e dalla vostra preghiera.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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