lunedì 29 febbraio 2016

Gli attimi più lunghi

Era stata una decisione molto sofferta quella di operare questa bambina.
Ha un certo grado di malnutrizione e, ad un anno e mezzo di età, ancora non riesce a tener su la testa, nè è in grado di stare seduta. 
In più è arrivata in ospedale con una brutta polmonite che abbiamo fatto molta fatica a controllare con gli antibiotici.
Per il suo ritardo di crescita la fisioterapia ha iniziato a dare i primi frutti, anche se sarà un cammino molto lungo. La mamma è contenta di questo ed afferma che la piccola è migliorata molto.
L’appetito della bambina è pure aumentato e forse, a forza di multivitaminici ed alimenti ipercalorici, abbiamo anche fatto qualcosa per la sua denutrizione.
Ora rimaneva il problema dell’ernia ombelicale che a volte si strozza e rimane fuori a lungo.
Al momento l’ernia è riducibile ma non si sa fino a quando.
Lasciarle quell’ernia sarebbe stato un grave rischio perchè avrebbe potuto complicarsi con uno strangolamento quando la bimba era lontana da ogni ospedale. La sua famiglia infatti è di Laisamis e vive in un villaggio sperduto. La mamma poi non è istruita: non conosce neppure il kiswahili: come spiegarle i segni di pericolo e di emergenza? Come dirle quando bisogna correre in ospedale?
Alla fine oggi i polmoni parevano abbastanza migliorati e, per non tirare le cose troppo alla lunga, con Mbaabu abbiamo deciso di operare. Lo abbiamo spiegato alla mamma grazie alla traduzione del suo parroco, che era venuto a trovarla ed a riportare a casa altri due bambini ormai guariti.



La bimba è stata intubata per l’anestesia generale, e l’intervento è andato bene: abbiamo finito in fretta e pensavamo che tutto fosse a posto. L’erniorrafia era perfettamente riuscita.
Appena estubata la paziente però, si è verificato un edema della glottide e la piccola ha desaturato pesantemente, smettendo anche di respirare.
Mbaabu è stato bravissimo a re-intubare subito ed a riportare velocemente l’ossigeno a livelli compatibili con la vita. Ammiro molto il nostro anestesista per la sua calma estrema, anche in situazioni di altissimo stress emotivo.
Mentre Mbaabu ventilava con l’ambu senza dar segni di nervosismo, io mi sentivo a pezzi ed ero pieno di sensi di colpa: “era meglio che non operassimo???!!!”.
Mbaabu mi rassicurava flemmatico: “la bambina sta bene e si riprenderà completamente. E’ stata una complicazione momentanea ed abbiamo agito subito”.
Ma a me gli attimi  che ne sono seguiti sono parsi eterni.
Mi chiedevo quando mai la bimba avrebbe respirato da sola nuovamente.
Il tempo passava e Mbaabu continuava a ventilare: in realtà, il tutto è durato meno di 45 minuti, ma a me è sembrata una vita! Non so quanti anni di vita ho perso e quanti capelli bianchi in più ho raccimolato in quei minuti che non finivano mai!
Ad un certo punto però sono arrivati i primi atti respiratori, dapprima sporadici e poi sempre più regolari e profondi.
Con grande gioia di tutti non ci sono stati altri problemi alla seconda estubazione e la piccola ha lasciato la sala quando era già sveglia.
Sono ora passate 3 ore e mezza da quel risveglio ansiogeno, e la bambina è completamente sveglia e chiede di nutrirsi.
La mamma è ignara di tutto lo stress che abbiamo sopportato, ed è felicissima dell’esito positivo dell’operazione.
Anche oggi ringrazio Dio che ci ha protetti ed aiutati a raggiungere un esito positivo, nonostante qualche momento di panico...soprattutto da parte mia.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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