venerdì 12 febbraio 2016

Un'altra pietra miliare

Tra i tantissimi interventi che anche oggi abbiamo fatto, mi soffermo su uno in particolare, perchè certamente costituisce un enorme passo avanti ed una nuova pietra miliare nel miglioramento del nostro servizio ai malati.
Abbiamo ricoverato un giovane con una frattura al terzo medio del femore destro. L'indicazione era quella del chiodo endomidollare, la tecnica che con tanta passione il Dr Luciano Cara ha cercato di insegnarmi nelle due settimane trascorse insieme qui a Chaaria.
Mi sentivo pronto, ma la tensione era alta, non tanto per la riduzioone della frattura, quanto per l'assemblaggio della strumentazione necessaria, un assemblaggio tutt'altro che semplice.
Sapevo di poter contare sull'esperienza personale acquisita negli ultimi quattro anni di formazione da parte del Dr Cara;inoltre, per lo strumentario mi affidavo alla brillantissima memoria fotografica di Makena, che ricorda le cose e le impara alla velocità della luce.
E così ci abbiamo provato da soli. Luciano era stato categorico nel dirci che eravamo ormai pronti a camminare da soli e che non avremmo dovuto fare lo sbaglio di smettere con quella tecnica quando lui fosse partito.


L'intervento è andato benissimo.
La riduzione, seppur non facilissima, è venuta perfettamente bene.
Makena ed io insieme abbiamo assemblato ed usato la strumentazione senza difficoltà. Siamo riusciti a posizionare il chiodo endomidollare in modo relativamente agevole, e ricordando alla perfezione tutti i passi della tecnica chirurgica.
Abbiamo concluso l'operazione in poco più di un'ora, che per noi costituisce un tempo più che soddisfacente.
Il vantaggio per il paziente nell'usare il chiodo endomidollare, invece delle placche e viti, sta nel fatto che egli può iniziare a caricare e camminare con stampelle già dal giorno seguente
l'operazione; inoltre questa tecnica riduce decisamente i giorni di degenza (cosa non indifferente in un momento di grave sovraffollamento dei reparti).
Oggi eravamo così felici di questo nuovo traguardo che lo abbiamo voluto festeggare con uno spuntino insieme nel refettorietto della sala operatoria: una coca-cola, qualche biscotto, un pezzo di cioccolato e qualche arachide tra un intervento e l'altro, tanto per darci una pacca sulle spalle e per tirarci su di morale.
A nome anche di Makena e di tutto lo staff della sala, ancora esprimiamo la nostra gratitudine al Dr Luciano Cara che anche in questa tecnica ha creduto nelle nostre potenzialità e ce l'ha insegnata con pazienza, caparbietà e maestria.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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