martedì 29 marzo 2016

Ieri...

La ragione per cui ieri non c’è stato un post sul blog o su facebook è stata la totale mancanza di connessione internet. Non partivano neanche i messaggi what's app. Di questo chiedo scusa ai lettori che quotidianamente cercano le nostre notizie, come un importante appuntamento quotidiano.
Oggi fortunatamente il satellitare ha ripreso a funzionare e mi sento di nuovo connesso con il mondo.
Pasquetta per noi, come sempre, è stata una giornata lavorativa normale, con tantissimi pazienti in coda nel nostro ambulatorio e con una lista operatoria molto nutrita.
La gente qui non considera il lunedì di Pasqua una vacanza significativa, e quindi viene all’ospedale certa che noi a lavorare ci siamo e che i loro problemi troveranno una soluzione.
L’episodio più gustoso della giornata di ieri è comunque avvenuto dopo cena, quando stavo facendo il giro serale.
Sono passato in sala parto perchè ero un tantino preoccupato per una gravida a cui avevo indotto il travaglio con il misoprostol sin dal mattino.
L’ho trovata in preda a doglie fortissime, ma con una dilatazione cervicale che non era quella che mi aspettavo. Onestamente avrei sperato che avesse già partorito.



Appena mi ha visto, la donna mi ha afferrato per un braccio, e, attribuendo il dolore insopportabile alla medicina che avevo inserito nel suo corpo, continuava a ripetermi: “toglimela, toglimela”.
Ho tentato di fale capire che due piccole compresse inserite nell’organismo varie ore prima erano certamente scomparse e completamente dissolte nel suo sangue.
Lei però insisteva e diceva che la medicina gliela dovevo togliere comunque, perchè il dolore era troppo.
Ho tentato un piccolo trucchetto, che per altro sarebbe risultato molto utile dal punto di vista clinico, e le ho rotto le membrane: ne è fuoriuscito liquido amniotico chiaro e senza problemi.
La cosa da una parte mi ha rassicurato sul fatto che il travaglio stava comunque procedendo bene ed insieme mi ha dato la possibilità di dire a quella mamma che con le acque era uscita anche la medicina: ora quindi gliel’avevo tolta!
La mamma però ha ribattuto: “non è vero! Toglimela: voglio vedere la compressa! Adesso comunque stai con me finchè nasce mio figlio...non lasciarmi sola!”
Ero un po’ disperato a quella richiesta perchè nella mia ultima visita avevo trovato una dilatazione di appena tre centimetri. Ci sarebbero volute ancora molte ore! Le contrazioni mi sembravano comunque troppo forti e mi chiedevo perchè la cervice non si fosse ancora dilatata dal mattino.
Ho quindi deciso di provare con un buscopan in vena, non per fermare le contrazioni (necessarie per il parto), ma per rilassare un po’ quella cervice e permettere dunque una dilatazione un po’ più veloce.
Subito dopo aver iniettato il farmaco (che ovviamente dà anche secchezza delle fauci), la mamma mi ha chiesto un bicchiere d’acqua.
Mi sono allontanato per pochi minuti e sono tornato con quello che lei mi aveva chiesto.
Ha bevuto avidamente e subito dopo mi ha detto: “sento le spinte e mi pare che il bambino stia nascendo”.
“Ma figurati. Non è possibile! Dieci minuti fa avevi tre centimetri di dilatazione. Ci vorrà ancora un po’ di tempo ed un po’ di pazienza da parte tua. Lo so che soffri, ma è così”.
Lei però è corsa sulla barella, ha dato due spinte, e, sotto i miei occhi sgomenti, è apparsa la testa del bambino.
Ho avuto appena il tempo di chiamare l’infermiera ed il piccolo era già nato...un bel maschietto senza problemi e con un pianto vigoroso.
L’infermiera della notte, esterrefatta quanto me, ha semplicemente detto: “davvero un parto precipitato!”.
Per fortuna comunque non ci sono state complicazioni per la mamma che non ha sanguinato nel post-partum ed oggi è andata a casa senza problemi.

Salutandomi, ha sorriso sorniona.
Evidentemente ricordava con ilarità la sceneggiata della sera prima, che oggi ci faceva sorridere solo perchè ha avuto un lieto fine.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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