lunedì 16 maggio 2016

Amore di un padre

Non è così frequente vederli, ma direi che ultimamente non è più neppure tanto raro.
Vengono in ospedale con un bambino piccolo affetto da malaria cerebrale o da polmonite.
A volte il figlio ha un problema chirurgico e deve essere operato: in questi casi di solito la mamma non viene in ospedale con il figlio ammalato perchè è a casa con un bambino più piccolo da allattare, o magari perchè è malata lei stessa; raramente capita di incontrare un marito abbandonato dalla moglie e non ancora risposato: un vero "single father".
In questi casi non possiamo ricoverare i bambini ed il genitore in pediatria, perchè questo è un ambiente rigorosamente femminile.
Ricoveriamo papà e bimbo nel reparto uomini: i bimbi accompagnati in ospedale dal papà dormono quindi nel camerone degli adulti.
Questi papà sono in genere molto buoni ed affettuosi, e direi che fanno concorrenza alle tante mamme che abbiamo in pediatria.
Mi sorprendo a volte ad osservarli mentre contemplano con occhi pieni d'amore il loro figlioletto ammalato, mentre vigilano con attenzione sul flusso delle gocce di chinino che fluisce nelle vene dei loro piccoli, mentre coccolano il figlio in preda a qualche dolore dopo un intervento chirurgico.


Trovarsi di fronte ad un papà atterrito per la gravità delle condizioni di salute del figlio, oppure alle prese con il cambio del ciripà, o ancora intento ad imboccare la sua creatura con piccole cucchiaiate di porridge, è un'esperienza molto commovente che fa pure giustizia al sesso maschile: non tutti i padri sono infatti degli assenti, degli irresponsabili o dei menefreghisti. Sovente l'ospedale ce ne fa conoscere molti che nel silenzio testimoniano il puro amore paterno.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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