martedì 17 maggio 2016

Anche loro sono come noi!

Essere chiamato a servire i poveri ed i malati lontano dal proprio ambiente, in una cultura diversa ed in una realta’ certamente piu’ difficile della nostra, porta spesso a idealizzarli. 
A volte immaginiamo virtu’ che in realtà loro non hanno... poi, stando qui per anni, ci si rende conto che sono persone come tante. Spesso chi e’ nato in Occidente da una famiglia relativamente agiata (e si sente quasi in colpa per questo), ritiene che i poveri siano brava gente, per il semplice fatto di essere poveri. In seguito, una delusione dopo l’altra ci porta a comprendere che i poveri non sono necessariamente brava gente, neppure quelli che hanno sofferto molto. 
E’ ovvio, se ci si pensa a mente fredda: essi sono capaci di qualunque cosa, proprio come noi. Possono essere rozzi, falsi e vigliacchi, proprio come noi... anche se moltissimi sono estremamente buoni, e sicuramente ci precederanno nel Regno dei cieli. 
Ma la coscienza che il loro svantaggio non li rende migliori e non li mette su di un piedistallo, ci aiuta a servirli con un sano senso della realta’ e con la doverosa coscienza che noi missionari (come anche i volontari che ci aiutano) dobbiamo fare ogni cosa prima di tutto per Dio.


Noi scegliamo i poveri proprio perchè sono poveri, e non perchè sono buoni.
Questa riflessione nasce da una cocente delusione che ho or ora ricevuto nel nostro ospedale.
Forse la mia esperienza di oggi e’ solo uno specchio, o una specie di microcosmo che esemplifica quello che succede un po’ dovunque, perche’ la natura umana e’ uguale a tutte le latitudini.
Rimango dalla parte dei poveri, ma non li idealizzo più.
Dopo anni di cocenti delusioni, rimango schierato dalla loro parte, ma so che “anche loro sono come noi”.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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