sabato 21 maggio 2016

Le pangate di notte

Sono una delle emergenze più frequenti con ci dobbiamo misurare, soprattutto nei week end.
Spesso capita di ricevere di notte persone massacrate da ferite multiple in molte parti del corpo.
L’emorragia è in genere massiva, il paziente sovente viene da molto lontano ed è quindi frequente trovarsi di fronte a persone già in stato di shock emorragico.
Bisogna quindi prima di tutto pensare di stabilizzare le condizioni generali, con infusione di liquidi endovena e spesso anche con trasfusione urgente.
Il malato poi è imbrattato di sangue dappertutto, e ricoperto da ingenti quantità di terriccio, essendo naturalmente caduto a terra dopo il ferimento.
Occorre tagliargli i vestiti di dosso, denudare il paziente, lavarlo abbondantemente con acqua e sapone, magari dopo averlo sedato un po’, perchè ogni movimento del corpo gli provoca un grandissimo dolore. 


L’igiene è essenziale anche dal punto di vista della prevenzione delle infezioni: spesso l’arma offendente è sporca, magari arrugginita...e poi, se ancora si lascia sporcizia nelle ferite, è giocoforza che la situazione complicherà con infezioni gravissime, con setticemia ed anche con la morte.
La sutura è in genere un lavoro lungo e difficile: le ferite sono lacero-contusa; a volte mancano completamente interi brandelli di cute ed è un problema chiudere.
Ma la vera difficoltà nasce dai danni agli organi interni: le pangate sulla testa causano sovente rottura della teca cranica ed emorragie cerebrali. Le ferite sugli arti recidono tendini e nervi, e spesso causano anche fratture. Fermare l’emorragia arteriosa non è mai un gioco da ragazzi.
E’ necessario organizzare operazioni fiume sovente richiedenti anche la fissazione interna di fratture con viti e placche; la tenorrafia è un intervento molto lungo che richiede competenza e tanta pazienza.
Con una pangate che ti arriva di notte se quasi sicuro che a letto proprio non ci tornerai più.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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