mercoledì 4 maggio 2016

Profondo nero

Sto facendo un brutto sogno che non ricordo. Cio’ di cui conservo la percezione e’ che si trattava di una scena concitata e ansiogena. E’ gia’ passata la mezzanotte, e sto passando attraverso le prime fasi REM della notte che mi auguro calma e riposante.
Ed invece il cicalino gracchia ripetutamente. Io mi muovo come uno zombi, facendo fatica, per qualche minuto, a capire che stavo sognando e che ora mi trovo nella mia camera alla ricerca disperata dell’abat jour. Finalmente lo trovo, ma il pulsante non da’ alcun segnale di vita: “ah gia’, il black out!”. Non e’ un’operazione semplice neppure raggiungere il cercapersone, ma lo identifico sia grazie alla posizione familiare sul comodino, sia sotto la guida della piccola lucina rossa che lampeggia su di esso.
Stavolta non è un caso di maternità, ma un bambino molto anemico che ha bisogno di trasfusione. Devo scendere in ospedale per fare gruppo e prove crociate.
Ma ecco che si presentano nuovi ed inaspettati problemi. Fuori non c’e’ la luna e mi circonda il buio assoluto. Tento di cercare le ciabatte, ma non e’ un’impresa facile. “Dove sara’ la mia pila?”. 
A tentoni arrivo al tavolo, che setaccio palpando qua e la’, finche’ la trovo. Esco di camera, ma e’ davvero tutto nero. Quando e’ buio, e’ buio davvero in Africa!


Il cielo invece e’ trapuntato di stelle. Sono miliardi sulle nostre teste: davvero sempre uno spettacolo mozzafiato. Passo attorno al centro dei Buoni Figli, completamente avvolto nelle tenebre. Li sento respirare pesantemente nel sonno, o emettere saltuariamente i loro gridi cadenzati.
Arrivo in dispensario, che ha una vaga luminosita’ garantita dai pannelli solari.
Fortunatamente in frigo di sangue ce n’è parecchio. Il bambino naturalmente è 0 positivo, ma stanotte non ho scarsità e lo possiamo trasfondere senza difficoltà, dopo gli esami necessari.
Finito il mio lavoro in laboratorio analisi, faccio strada verso camera mia nel profondo nero della notte, bucato solo dalla luce della torcia tascabile.
“Che cielo incredibile... certo che una scena cosi’ ripaga anche del fatto che sono quasi le due”; “certo che domattina non sarò così vispo in chiesa”.

Fr Beppe

PS: La situazione elettrica a chaaria continua ad essere estrema, ed anche ora mi preparo and andare a spegnere il generatore per rimanere in pannelli solari per l’ennesima notte.




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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