sabato 4 giugno 2016

Il benvenuto di Chaaria

Appena ho messo piede in ospedale dopo la doccia che mi ha tolto un po' della stanchezza del viaggio, mi sono imbattuto immediatamente in un caso drammatico che da solo dipinge i drammi di Chaaria.

Una giovane donna è accompagnata in maternità in barella. E' troppo debole e non riesce a camminare.
La seguono il marito in atteggiamento molto triste ed un'altra donna che porta in braccio un fagotto di stracci.
Dopo il primo scambio di domande con i parenti, mi rendo conto che la giovane ha partorito per strada, e che purtroppo il bambino è già morto.
Il problema è che lei si sta indebolendo perchè la placenta è ritenuta e l'emorragia copiosa.
Non è facile assistere la donna e metterla sul lettino della sala parto, soprattutto a motivo del fatto che è terribilmente imbrattata di sangue.
Bisogna prima lavarla un po' per evitare di riempirci di sangue anche noi.
L'emoglobina urgente è rassicurante, e la pressione è discreta.
Decido quindi di soprassedere per il momento alla trasfusione.
Bisogna invece fermare l'emorragia immediatamente, mediante una rimozione manuale della placenta.


Eseguo la manovra rapidamente, e, dopo aver praticato l'ossitocina, mi rallegro nel constatare che il sangue si ferma quasi subito e l'utero si contrae.
E' solo a questo punto, quando la donna è stabile, con un buon accesso venoso attraverso cui infondiamo soluzioni saline, che rivolgo la mia attenzione al piccolo: quello che vedo all'interno del fagotto di stracci è piuttosto impressionante. Una femminuccia a termine, con
evidenti segni di macerazione della cute e con un enorme idrocefalo.
Certamente il piccolino era morto da molte ore prima del parto.
Mi trattengo un po' con la mamma, che comunque già sapeva.
Lei è forte e stoica, e non piange.
Ancora una volta io mi inchino alla forza morale delle donne, ma mi faccio lo scrupolo di dire una parola di conforto anche al papà che aspetta fuori della sala parto.
Lo rassicuro che sua moglie è fuori pericolo e che sarà presto dimessa.
Chaaria mi ha dato il suo benvenuto...non me lo aspettavo diverso, ed onestamente sono contento così.
Mi sento a casa e da oggi desidero impegnarmi ancora di più per la gente che soffre e che ha bisogno del mio aiuto.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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