lunedì 13 giugno 2016

Non siamo onnipotenti.. e la morte ce lo ricorda sempre

Ieri è morto Bernard. 30 anni, colpito da una rara forma di paralisi progressiva. I primi sintomi li aveva avvertiti qualche anno fa, una strana sensazione di stanchezza alle gambe. La situazione era degenerata sempre più, fino a relegarlo a letto, incapace di muovere gli arti. 
Era arrivato a Chaaria quasi tre mesi fa. Abbiamo fatto di tutto per saperne di più sulla sua malattia. Eravamo in contatto con i medici della Facoltà di Medicina Tropicale di Anversa, sono loro che ci hanno portato a una diagnosi probabile: tubercolosi del midollo spinale con paralisi da compressione. Almeno sapevamo di cosa si trattava.
Per la Tbc i farmaci li avevamo, potevamo sperare di fare qualcosa.
All'inizio, grazie alla terapia, Bernard stava meglio, aveva ripreso a camminare con il girello, anche se a fatica. Diceva, tutto sorridente, che finalmente poteva stare di nuovo in piedi. Poi, inaspettatamente, il crollo. 
L’altro ieri è caduto e ha cominciato a lamentarsi di forti dolori su tutto il corpo. Ci implorava di dargli un antidolorifico, urlava come un pazzo dal male, si dimenava e rischiava di farsi male lui e far male a noi. Abbiamo provato a sedarlo con del valium, eravamo convinti che il problema fosse psicologico. Non più di due ore dopo è entrato in coma. 


Era già al gasping, stava esalando gli ultimi respiri e rimetteva sangue. Dopo un’altra mezz’ora, ci ha lasciati.
Bernard aveva continuato a chiamare e a gridare. Questo ci aveva lasciati tutti attoniti. Sono convinto che i malati sentano la vita sfuggergli di mano. Quell’urlo feroce, disperato, forse voleva dirci che la vita lo stava lasciando, ma noi, sempre troppo di corsa, non abbiamo saputo dargli retta.
Mi viene anche la storia di Susan. Era molto grave. Una sera mi ha afferrato per il camice, mi ha trascinato contro il suo petto, mi stringeva e ripeteva: “Doctor, I'am dying” (“Dottore, sto morendo”).
Avevo avuto paura, non so bene perché. Avevo provato a staccarmi, a non guardarla. Ma lei è spirata con i pugni chiusi attorno al mio ventre. Susan sapeva che quelli erano i suoi ultimi attimi di vita. E io non l’ho accompagnata, l’ho lasciata andare così, sola, infinitamente sola.
Non siamo onnipotenti, questa è la verità. È dura per un medico ammetterlo, ma casi come quelli di Bernard e Susan ci aiutano a ridimensionarci, ci indicano chiaramente i limiti della nostra conoscenza. Sono scuola di umiltà.

PS: nelle foto i coniugi Guidobaldi, volontari a Chaaria

Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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