giovedì 16 giugno 2016

Pensieri sparsi

Credo sinceramente che il centro ispiratore del nostro impegno, il cuore della nostra dedizione siano le persone che noi serviamo ogni giorno: sono i volti disperati dei malati inguaribili, sono le vite semplici dei nostri buoni figli, sono i piccoli della pediatria che lottano contro la malaria cerebrale, sono gli occhi disperati delle madri quando il loro figlio non migliora, sono le donne che soffiano e stoicamente sopportano le doglie del parto, sono i pazienti che camminano otto ore per raggiungere l'ospedale.
Della povera gente non potremo mai condividere pienamente l'esclusione e la miseria, perchè noi in fondo siamo dei ricchi e dei privilegiati. in missione abbiamo tutto e non ci manda davvero niente.
Come possiamo allora gettare un ponte tra noi e loro?
Lo possiamo fare con la nostra dedizione totale, con un servizio vissuto fino al sacrificio della nostra vita.
Ecco allora che lo stare "con" chi soffre, la donazione, il nostro lavoro continuo per loro diventano il modo concreto che ci porta vicino alla gente povera con tanto rispetto per la loro sofferenza.
La presenza costante in ospedale al fianco di coloro che soffrono, la condivisione di vita con loro, in qualche modo ci rende loro fratelli e ci aiuta a capirli un po' di più.
Credo con tutte le forze che sia importante stare con i malati, passare con loro ore ed ore, di giorno e di notte, sette giorni alla settimana, e farsi in qualche modo mangiare da loro.
Ritengo che il servizio incondizionato all'altro che soffre e che lotta non solo contro la malattia, ma anche contro la povertà e la carenza di risorse con cui curarsi, un po' ci assimili a loro e ci dia il privilegio di una vita "mescolata" alla loro ed in qualche modo un po' simile alla loro.



Lasciandosi mangiare dai malati e dai sofferenti, sempre più ci si sente come in un'unica grande famiglia con loro: allora quella ragazza con una tremenda frattura di femore non è più solo una paziente perchè potrebbe essere tua figlia; quel signore emaciato che vomita tutto a motivo di un carcinoma dell'esofago potrebbe essere tuo padre e ti fa male vederlo morire di fame; quel ragazzo disabile mentale potrebbe essere tuo fratello, e quel giovane che probabilmente morirà di tetano potresti essere tu.
Sempre meno in questi anni mi sono sentito un operatore sanitario che offre prestazioni professionalmente ineccepibili ai propri clienti, e sempre più mi sono sentito membro di una grande famiglia che mi unisce ai "miei" malati...sono miei perchè con loro vivo, per loro mi spendo e con loro passo tutte le mie giornate e molte delle mie nottate.
Sono miei perchè la loro sofferenza mi è calata dentro ed ha in qualche modo scavato il mio cuore.
Ho scritto queste cose con il cuore in mano.
Sono pensieri sparsi e forse confusi, ma colgono in profondità aneliti sinceri della mia anima che spero di aver condiviso con voi che mi leggete.
Concludo con una citazione di Madre Teresa di Calcutta, che come sempre mi stimola e mi incoraggia:
"Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini. Non importa. Fai il bene.
Il bene che farai, domani sarà dimenticato. Non importa. Fai il bene.
L'onestà e la serenità ti rendono vulnerabile.. Non importa. Sii franco e onesto.
Da' al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci. Non importa.
Da' il meglio di te"

Fr Beppe Gaido




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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