venerdì 2 settembre 2016

Antony Mwiti

Nuove lacrimucce sono state oggi versate nel nostro piccolo orfanotrofio.
Oggi è infatti venuto il giorno di salutare anche Antony...per sopraggiunti limiti di età.
In realtà la sua età non la conosciamo con esattezza perchè lui è un trovatello portatoci dalla polizia di Chuka quando era piccolissimo.
Da un calcolo approssimativo che considera il tempo in cui Antony è rimasto con noi, pensiamo che la sua età sia di circa 10 mesi.
Ora però è grande ed addirittura fa fatica a stare nei lettini da noi predisposti per gli orfani; tra poco poi comincerà a camminare, e questo potrebbe essere pericoloso perchè potrebbe ferirsi con aghi o con altro materiale sanitario usato.
Certamente poi, alla sua età comincia ad aver bisogno di stimoli educativi che un reparto di pediatria come il nostro non gli può offrire.



Ecco perchè ci siamo messi d'accordo con Sr Anselmina per un suo trasferimento a Nkabune, dove vivrà insieme agli altri orfani là ospitati.
Ci siamo sentiti tristi anche oggi perchè è ovvio che, con i ritmi tremendi della nostra attività, quasi certamente perderemo i contatti con Antony; sappiamo comunque che il suo trasferimento è per il suo bene e che crescerà certamente più felice a Nkabune rispetto a Chaaria, dove ci manca tutta la struttura educativa che lo sviluppo armonico che un bambino richiede.
"Tantissimi auguri per la vita, piccolo Antony!"
Ti auguriamo felicità ed umana realizzazione, nonostante quella croce grandissima che ti porti addosso e che è il tuo essere orfano e trovatello.
Ti abbiamo voluto bene e ti abbiamo aiutato a crescere nel primo anno della tua vita, forse il più difficile della tua infanzia.
Ora ti affidiamo alle mani di Sr Anselmina e pregheremo certamente per te.


Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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