venerdì 21 ottobre 2016

Chissà se adesso è contento

Abbiamo ricevuto il nostro ennesimo paziente "pangato": un uomo sulla quarantina, alto e snello.
C'erano colpi tremendi sulla testa che erano penetrati nelle ossa del cranio: le ferite del capo sanguinavano ferocemente ed è stata davvero un'emergenza al cardiopalma riuscire a fermare l'emorragia prima che il paziente collassasse. 
Abbiamo comunque dovuto trasfonderlo, tanto era il sangue che aveva perso.
C'erano poi tagli su tutte le parti del corpo...decine e decine.
Makena mi ha detto che, quando è così, è perchè gli assalitori volevano che la persona ferita soffrisse di più.
Lo abbiamo suturato tutto: capo, collo, torace, addome, braccia, gambe.
Naturalmente non è stato possibile farlo in anestesia locale ed abbiamo dovuto ricorrere alla generale.
Il paziente sembrava stabile al risveglio verso le 22.
Poi però alle 2 di notte ha iniziato a "gaspare", a sudare freddo, ed è morto prima che io potessi tentare qualunque rianimazione.
Non è morto di anemia, in quanto, prima del decesso, l'emoglobina era di 9 grammi.
Probabilmente si è trattato di una emorragia intracranica secondaria alla concussione cerebrale causata dalla violenza di quelle "machetate".
La cosa che mi sconvolge di più di questa storia è il fatto che l'assassino è il padre del paziente...me lo ha detto Makena: la ragione del litigio? Quella solita! Un pezzo di terra!


Adesso quel genitore non dovrà più dividere la propria "shamba" con questo figlio. Ha forse ottenuto quello che voleva quando infieriva su di lui.
Dubito comunque che possa sentirsi felice o soddisfatto della sua azione crudele.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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