mercoledì 28 dicembre 2016

Crollato un altro tabù... aperta una nuova strada

Sono anni che mi sto formando su questa tecnica.
L’ho studiata a lungo.
Mi sono via via impratichito facendo da secondo operatore a tanti grandi maestri che mi hanno preso per mano ed hanno creduto in me.
Certamente il mio grazie più sentito va al Dr Pietro Rolandi, mio docente e mentore, mio amico e fratello maggiore: è lui che mi ha trasmesso gran parte della tecnica; è con lui che ho via via superato le paure ed ho imparato a capire che ce l’avrei potuta fare da solo.
E’ stato Pietro a comunicarmi una tecnica efficace, precisa ma anche veloce, come è necessario a Chaaria, dove le emergenze si susseguono a ritmo incalzante.
Subito dopo Pietro il mio ringraziamento va al Dr Massimiliano Zuccaro: anche lui ha creduto in me ed ha grandemente contribuito alla mia formazione, soprattutto il giorno in cui mi ha fatto lavare, lasciandomi credere che gli avrei fatto da secondo, per poi dirmi: “adesso aggiustati da solo. In caso di emergenza fammi un fischio; io rimango nei paraggi, ma fuori della sala operatoria...cavatela da solo”.


Tanti altri hanno contribuito alla mia formazione aggiungendovi dei tasselli importanti: il Dr Marco Massi prima di tutto, poi certamente il Prof Pietro Iani, il Dr Max Albano, il Dr Alberto Kiss.
Non posso non citare il Dr Nyaga che sempre è venuto ad operare a Chaaria ogni qualvolta non avevo specialisti dall’Italia, e che con generosità mi ha trasmesso le sue conoscenze tecniche e la sua manualità.
Sono stato titubante a lungo.
Da una parte mi sentivo pronto da tempo.
Dall’altra temevo fortemente una complicazione irreversibile che avrebbe potuto costare la vita al paziente.
Questo tira e molla mi ha bloccato per molto tempo: volevo ma temevo...e per questo rimandavo.
Oggi però ho deciso che era tempo di levare gli ormeggi e di tentare la navigazione in solitario, senza maestri e senza primari da poter contattare al bisogno.
Ed è così che oggi a Chaaria abbiamo celebrato l’inizio dell’era delle tiroidectomie in autonomia.
Si è trattato di un gozzo enome, in parte retrosternale, ma con calma io e Makena abbiamo fatto l’intervento senza grossi sobbalzi e senza immotivate paure.
E’ andato tutto bene!
E’ stata una gioia indescrivibile avere la tiroide in mano, anche se poi sono rimasto inquieto fino a estubazione avvenuta...meno male che la paziente ha ripreso a respirare bene e non ha avuto problemi di paralisi delle corde vocali!
Enorme è stata la soddisfazione ed il sollievo quando questa sera ho visto la paziente seduta nel letto e le ho chiesto di ripetermi il suo nome: non appena ho sentito che lo pronunciava con la sua voce normale, ho avuto la certezza di aver rispettato entrambi i ricorrenti, nostri acerrimi nemici nell’intervento suddetto.
Oggi segna una nuova era: non aspetterò più i volontari italiani, o, in loro assenza, il Dr Nyaga!
Potremo operare subito chi ne ha bisogno!
Le tiroidectomia ce le faremo da soli, così come via via è successo per tanti altri interventi chirurgici.
Ringraziamo davvero il Signore per questo ulteriore passo avanti e per le nuove potenzialità di servizio celere e puntuale a beneficio di molta gente bisognosa.
Grazie a Dio che sempre mi dà la forza ed anche la memoria fotografica per imparare velocemente gli interventi chirurgici che mi vengono proposti.
La mia infinita riconoscenza va poi a tutti i volontari che hanno creduto in me e mi hanno insegnato la tiroidectomia, facendomi così un dono che si riverbera su moltissimi pazienti.

Fr Beppe


1 commento:

Unknown ha detto...

bravo Beppe! per chi ti è stato vicino è una grande emozione .Ad majora !
pietro iani


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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