martedì 6 dicembre 2016

Sconvolgente!

Sono le 23 e non ce la faccio quasi più. Sono due notti che non dormo perchè ci sono continue emergenze in sala.
Vorrei andare a dormire, ma ci sono enormi problemi a dare un letto a tutti.
Abbiamo pazienti nei corridoi che dormono su materassi e brandine volanti. Per molti abbiamo solo una stuoia.
Proprio mentre sto per salire in camera mi viene presentata una donna che ha appena avuto un aborto di cinque mesi.
Ha la placenta ritenuta; sembra in grandissima sofferenza; trema come una foglia ed ha la febbre a 40.
Mi appresto ad aiutarla con una revisione della cavità uterina.
La placenta viene fuori con grossa fatica, ma, con mia grande sorpresa, non riesco a staccare il cordone ombelicale dal fondo dell’utero. E’ come se qualcosa lo trattenesse dentro.
Mi metto allora dei lunghi guanti ostetrici e provo ad estrarlo manualmente.
Con orrore mi rendo però conto che nella cavità uterina c’è un bastoncino duro messo per traverso. Mi sembra metallo, e certamente non è una struttura anatomica. Forse è proprio questa la ragione per cui il cordone non viene fuori.


Bisogna cambiare rapidamente programma: dal raschiamento si deve passare ad una laparotomia esplorativa d’urgenza. Devo capire che cosa sia quel “bastone” nel corpo di una ragazza ventenne.
La sorpresa, lo sgomento, l’incredulità e l’amarezza sono infiniti quando, ad addome aperto, vedo una penna a biro conficcata nella parete uterina.
Onestamente so di cosa si tratta, ma questo non riduce la rabbia che provo dentro: certamente la ragazza non voleva la gravidanza e si è rivolta ad una fattucchiera che ha inserito una penna nella cervice uterina per causare le contrazioni.
Per ragioni a me non completamente chiare (probabilmente le contrazioni stesse, insieme alla discesa del feto nel canale del parto), la biro è risalita in utero, si è messa per traverso, e ad ogni contrazione si è progressivamente infilata nella parete dell’organo, perforandola completamente.
Era inquietante vedere quell’utero con una biro gialla e blu spuntare dalla parte del legamento largo.
Fortutatamente non abbiamo salvato l’utero, ma lo abbiamo dovuto prima aprire per estrarre la penna e poi risuturarlo adeguatamente.
Ovviamente poi la ragazza ha segni di peritonite, e questa è la ragione delle febbre altissima.
La cosa che mi ha fatto più rabbia è che, a mezzanotte e mezza, stanco morto a motivo di giornate infinite, sono venuto a sapere che non era la prima volta che quella ragazza lo faceva e che in passato era già stata ricoverata da noi per un altro aborto settico.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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