sabato 21 gennaio 2017

La siccità

A Chaaria non ce ne rendiamo conto moltissimo in quanto a dire la verita', siamo stati abbastanza fortunati e le precipitazioni sebbene al di sotto della media, hanno permesso di raccogliere qualche fagiolo, ed hanno dato qualche speranza per il granoturco. 

Basta pero' andare un po' oltre Nanyuki, verso Maralal, per rendersi conto di quanto grade sia il problema della siccita' in Kenya quest'anno: campi completamente secchi, assenza totale di pascolo, animali che muoiono di sete (sono gia' migliaia nel nord del Paese), persone ridotte alla fame e completamente dipendenti dagli aiuti umanitari del governo, lotta ai pochi pozzi per poter raccogliere una tanica d'acqua da portare a casa.
Il nord e' completamente secco e la fame e' una triste realta' per molti poveri cittadini, soprattutto delle tribu' nomadi e pastoralizie.
Ma la situazione e' grave anche in altre parti del Paese. 
Il Presidente ha gia' proibito l'esportazione di granoturco al fine di poter avere scorte sufficienti per le distribuzioni alimentari.
La siccita' di quest'anno era un fenomeno previsto dai metereologi, ma le sue dimensioni appaiono devastanti, soprattutto se pensiamo che le prossime piogge, se verranno e saranno sufficienti, le attendiamo in aprile. Nel nord non piove da piu' un anno.



Anche l'elettricita' scarseggia e gia' e' iniziato il razionamento...ovviamente questo costituisce un aumento di spesa per l'ospedale che per molte ore deve funzionare con il generatore a diesel.
I pozzi di Chaaria hanno le falde acquifre basse ed a volte capita che pur pompando, in missione non abbiamo acqua.
L'acqua e' davvero un dono di Dio...tanti la sprecano anche qui in Kenya, e tantissimi ne sono completamente privi.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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