giovedì 9 febbraio 2017

La nostra vita donata

In questi giorni non ci sono piu' orari.
La notte si finisce tardissimo. Le ore di sonno sono davvero poche.
Ci si alza al mattino gia' stremati, vuoi per la stanchezza arretrata e vuoi per il tempo di riposo gravemente insufficiente.
Si corre dal mattino alla sera, cercando di dividerci tra ambulatorio, reparto, sala operatoria e maternita'.
Non c'e' neppure tempo per mangiare...il pranzo dura dieci minuti e poi si corre nuovamente in ospedale.
Sono sempre in ritardo per tutto: se finisco in ospedale all'una di notte, poi arrivo in ritardo per la preghiera del mattino. Ai pasti non riesco mai ad esserci con gli altri. 
La sala operatoria continua fino alle ventuno ed oltre e quindi perdo non solo la preghiera serale con I Fratelli, ma anche il tempo della cena insieme. 
Il giro serale si prolunga a dismisura perche' I nuovi pazienti sono sempre troppi e le complicazioni si accavallano. 
Non te ne accorgi ma e' sempre mezzanotte quando lasci l'ospedale...e questo da vari mesi, da quando sono iniziati gli scioperi che ci stanno massacrando.


Speri sempre di dormire, ma sai che le emergenze sono sempre possibili, soprattutto ora che I pazienti sono quadruplicati... per questo sei preparato al fatto che le chiamate notturne saranno frequenti e fisicamente devastanti. 
Lo spirito e' forte e la motivazione alle stelle, perche' sai che il tuo ospedale e' uno dei pochi che rimane aperto e si prende cura soprattutto dei poveri, non dicendo di no a nessuno...ma, dopo molti mesi di stress continuativo, la carne comincia ad essere debole e ti pare di non farcela proprio piu'.
Pregate che stanotte io possa dormire senza emergenze!

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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