venerdì 24 febbraio 2017

Quando il tempo conta un sacco

Peninah ha 30 anni ed e’ stata ricoverata nel nostro ospedale verso le 4 del pomeriggio.
E’ stata visitata da un clinical officer, che ha fatto diagnosi di tifo.
La donna lamentava dolori addominali al basso ventre, con un alvo irregolare; inoltre aveva nausea e vomito.
Il test di Widal per la salmonella era positivo, ed il giovane collega non ha avuto dubbi sulla diagnosi.
Peninah e’ stata ricoverata nel dipartimento di Medicina con cloramfenicolo in vena.
Arrivata in reparto verso le ore 17, la malata lamentava un dolore addominale veramente importante, anche se non c’erano segni peritoneali tali da farci sospettare una perforazione.
E’ stata Ann, la nostra giovane dottoressa polacca, a fare la domanda giusta a Peninah:
“Quando hai avuto l’ultima mestruazione?”
La risposta ci ha indicato che la donna aveva “saltato un mese”.
“E adesso hai perdite ematiche?” ha continuato la collega, seguendo un chiaro itinerario diagnostico.
“Si’, ma penso che sia il mio ciclo, che e’ spesso irregolare”.
Giustamente la cosa non ha rassicurato Ann, la quale ha imparato benissimo la lezione secondo cui “a Chaaria tutte le donne sono ‘incinte’, finche’ non dimostriamo il contrario”.


Ha dolcemente insistito con me per convincermi a fare un’ecografia urgente, nonostante il superlavoro in ambulatorio.
Avrei voluto dirle: ‘ma se non ci sono segni peritonitici ed il sanguinamento e’ minimo, non possiamo aspettare domani?’... ma in cuor mio sapevo che questa sarebbe stata una scusa alla mia pigrizia.
Anch’io ero convinto che, se di complicazione si trattava davvero, era meglio affrontarla subito, piuttosto che alle 3 di notte.
Ed ancora una volta l’eco e’ stato il punto chiave del nostro iter diagnostico: Peninah aveva fluido in peritoneo ed una massa tubarica.
Abbiamo impiegato la precisione degli ultrasuoni per eseguire un prelievo ecoguidato... ed abbiamo aspirato sangue.
La diagnosi era fatta. Purtroppo si trattava di una gravidanza extrauterina in fase di rottura.
Bisognava correre.
Erano le 17.20, e per fortuna eravamo tutti in servizio: il laboratorio si e’ attivato per i gruppi e le prove crociate... ringraziando Dio, avevamo sangue in emoteca!
Lo staff della maternita’ ha iniziato la preparazione della paziente: bisognava innanzitutto parlarle e convincerla ad andare in sala, in quanto, fino a pochi minuti prima, la donna pensava di essere una degente “di Medicina” e di aver bisogno solo di antibiotici. 
Poi occorreva fare tutte le pratiche farmacologiche ed igieniche che normalmente precedono l’intervento chirurgico.
Jesse ed Ogembo erano pronti ad assistermi.
Alle 17.40 stavamo gia’ operando: per fortuna Peninah ha compreso immediatamente, e non ci ha fatto perdere tempo prezioso tentando di convincerla.
Avendo agito con tempestivita’, l’intervento e’ proceduto senza problemi, con paziente stabile. Abbiamo reperito rapidamente la fonte dell’emorragia interna e l’abbiamo “legata”.
Abbiamo quindi rimosso il prodotto del concepimento che stava distruggendo la tromba di Falloppio, ed abbiamo richiuso l’addome senza ansia e senza pericoli per la vita della malata.
La procedura non e’ durata piu’ di un cesareo... e cio’ soprattutto grazie alla diagnosi precoce.
Ringrazio di cuore Ann che, pur essendo neolaureata, ha dimostrato un grandissimo acume clinico, ed ha salvato la vita di Peninah intuendo la diagnosi corretta, anche quando altri avrebbero potuto indurla in errore con indicazioni terapeutiche sbagliate.
In questo caso e’ stato il brevissimo tempo intercorso tra la diagnosi e l’intervento a salvare la vita di Peninah. Se avessimo agito durante la notte o l’indomani, i rischi sarebbero stati molto piu’ elevati, e l’esito avrebbe anche potuto essere infausto.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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