sabato 25 febbraio 2017

Sabato

Oggi giornata di battaglia: al sabato cerco di operare il più che posso per portarmi avanti con la lista operatoria, in grave ritardo ed “overbooking” a causa della situazione ormai “normale” di emergenza-sciopero che dura da quasi tre mesi.
Gli interventi erano tantissimi ed alcuni abbastanza complessi, ma abbiamo lavorato bene e la lista di oggi sembrava poter finire per le 18: la prima volta in una settimana in cui la finivamo senza posticipare nessuno all’indomani a causa di continue interruzioni causate dai cesarei d’emergenza.
Ma alle 18 in punto lo scenario cambia di colpo: Elisabetta mi informa che abbiamo una rottura d’utero con donna scioccata.
Avrei davvero voluto uscire a fare due passi prima del buio: era un’idea che avevo coccolato dentro di me sin da stamattina.
Invece entriamo in sala e troviamo un vero disastro: feto morto, un sacco di sangue in addome, paziente gravemente anemica e bisognosa di trasfusione, ed uno sbrego tremendo nella parete laterale dell’utero.
La donna è giovane ed ha solo un bambino a casa.
Non possiamo cedere alla tentazione dell’isterectomia, anche perchè lei è addormentata e non le possiamo chiedere il consenso informato.
Con un po’ di fortuna riusciamo a riparare l’utero ed a salvare la vita di quella donna, anche se purtroppo non le daremo quel figlio che lei aveva aspettato per nove mesi.
Sono le 19.30 quando usciamo, stanchi e psicologicamente provati.


Pensiamo ad una doccia calda prima di cena, ma Susan ci aspetta sulla porta e ci comunica che c’è una gravida con gemelli che ha sviluppato segni di distress fetale a termine.
Tristi e frustrati dall’esperienza appena vissuta in sala, non vogliamo rischiare.
Meglio andare in sala subito.
Jesse è già andato a casa e quindi mi tocca fare anche la spinale, come d’altronde è di routine ogni notte.
Stavolta l’esito è decisamente lieto: anestesia senza problemi, cesareo liscio come l’olio e due gemellini che piangono vigorosamente dopo il parto.
Meno male. Ci sentiamo quasi meno stanchi!
Sono quasi le nove quando vado a cena, e mangio da solo perchè gli altri hanno già finito.
E’ davvero dura!
Vorrei andare a letto subito dopo mangiato, ma bisogna fare il giro in ospedale: ci sono nuovi ricoveri da visitare ed i diabetici a cui sistemare la dose di insulina. 
E’ sempre meglio anche passare in quel campo di battaglia che è la maternità, per vedere se ci sono problemi
che bollono in pentola e che potrebbero scoppiare nel cuore della notte...anche se poi le complicazioni possono verificarsi in qualunque momento.
Faccio più in fretta che posso ed alle 22 sono pronto ad andare a letto: il giro oggi era tranquillo...ma sulla porta del mio studio appare nuovamente Susan che, in tono neutro e senza emozione, mi informa che ci sono tre cesarei urgenti.
Vorrei morire!
E’ inutile che provi a lamentarmi con Susan, tanto so già la sua risposta: “se non ce la fai, devi assumere un medico che faccia le guardie di notte”. Non capirebbe neppure se le dicessi che le nostre finanze non ce lo permettono.
Meglio quindi stare zitto, perchè non ci sono comunque alternative: le emergenze sono emergenze e non le possiamo dilazionare il nostro intervento perchè siamo stanchi
Chiamo Dorothy con voce sconsolata e le chiedo di preparare la sala.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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