martedì 18 aprile 2017

Chaaria e Ippocrate

Pur nel marasma solito di Chaaria, oggi ho avuto modo di pensare molto al giuramento di Ippocrate che tutti i medici osservano… Infatti all’uscita dalla sala operatoria, dopo un'ernia bilaterale, ho trovato un gruppo di nostre infermiere che discutevano animatamente.
Stavano parlando della giovane ventenne che si era fatta inserire un bastoncino in cervice per porre termine alla gravidanza (le nostre nonne usavano il ferro da calza). Erano scandalizzate perche’ si trattava di una gestazione avanzata di circa 4 mesi, e dicevano che la malata era colpevole di un atto abominevole e che avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
Con calma io ho cercato di farle ragionare: “Noi non siamo Dio… lasciamo a Lui il compito di giudicare… Ora davanti a noi c’e’ solo una poveretta che sanguina, e che potrebbe anche morire se non la aiutiamo… E’ estremamente importante che noi medici ed infermieri ci asteniamo da qualsiasi giudizio… a noi non interessa se una persona e’ colpevole o innocente: il nostro compito – come ci ricorda Ippocrate – e’ quello di schierarci sempre per la vita, senza mai fare nulla che possa in qualche modo metterla in pericolo… Sono sicuro che il Signore sapra’ toccare il cuore della ragazza e farla riflettere. Ora diamoci da fare”.
La risposta dello staff e’ stata ottima: un giro di sguardi che significavano totale supporto per quanto avevo detto… e poi tutti ai loro posti per soccorrerla in fretta.



“Le faremo il regalo di Pasqua, aiutandola senza chiederle niente e senza rimproverarla!”.
“ E’ cosi’ che mi piacete… Ora al lavoro: prepariamo la sala e facciamo le prove crociate su due sacche di sangue”

Fr. Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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