venerdì 28 luglio 2017

Chaaria diventa un pò universitaria

Grazie all'interessamento della dottoressa Makandi, abbiamo da un paio di settimane iniziato un ufficiale rapporto di collaborazione con il KEMU (Kenya Methodist University) che ha iniziato a mandarci gli studenti del quinto anno di Medicina a fare tirocinio in ortopedia.
Ogni giorno accogliamo dai quattro ai cinque studenti che ci seguono non solo negli interventi ortopedici ma anche nella chirurgia generale e ginecologica.
A causa dello sciopero che da tempo ha paralizzato i servizi sanitari pubblici, agli studenti del KEMU si sono aggiunte anche due dottoresse neolaureate che avrebbero dovuto fare l'internato propedeutico all'esame di stato presso il Meru Hospital, ma che da tempo non hanno possibilita' di fare alcuna esperienza clinica.
Per noi avere giovani studenti e medici appena sfornati a Chaaria con finalita' prettamente formative, e' un'esperienza nuova, in parte molto faticosa ma anche entusiasmante e piena di nuove soddisfazioni.
Fare un'operazione che un gruppo di giovani che ti guarda, fa domande e poi ti ascolta con un'attenzione estrema, quasi fossero delle spugne assetate di impregnarsi di nuove conoscenze, e' certamente un aspetto molto gratificante dell'insegnamento clinico.


Dopo lo sciopero, quando con regolarita' riprendero' le lezioni del giovedi', ora un po' erratiche e condizionate dal superlavoro e dalla stanchezza, agli studenti del KEMU offriro' anche delle presentazioni teoriche di cui paiono molto assetati.
In queste prime due settimane l'esperienza e' stata grandemente positiva. Tra le altre cose e' una specie di cassa di risonanza attraverso cui molti medici di domani vengono a conoscenza di quello che facciamo a Chaaria.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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