sabato 29 luglio 2017

Congestione, confusione e situazione fuori controllo

Oltre all’aspetto del superlavoro che caratterizza questi interminabili mesi di scioperi a ripetizione, non va sottovalutato anche quello della grande concentrazione di pazienti in spazi che originariamente non erano nati per numeri cosi’ alti. 
L’ospedale scoppia in tutti i sensi, anche in quello prettamente edilizio.
Mi ha colpito oggi rendermi conto che il numero di ricoveri del 2017 ad oggi e’ quasi uguale a quello che avevamo avuto nel 2015 al 31 dicembre, mentre abbiamo gia’ fatto piu’ operazioni di quelle che nel 2015 facemmo in dodici mesi.
E’ una fatica estrema che implica per esempio aver cancellato dal nostro calendario il sabato e la domenica, ora pienamente lavorativi; implica anche un numero sempre piu’ elevato di chiamate notturne che poi ti spezzano le gambe il giorno dopo, quando non ti puoi fermare per riposarti.
Soprattutto per un volontario che viene per la prima volta a Chaaria in questa particolare situazione, c’e’ poi anche l’indubbio impatto costituito dal sovraffollamento: non siamo abituati in Italia a tre pazienti per letto, ne’ tantomeno a malati coricati per terra su materassi di emergenza.


In questi giorni puo’ capitare che un giovane operato condivida il letto con un morto che per qualche tempo non riusciamo a portare in obitorio a causa di carenza di personale. In Italia sarebbe uno scandalo, mentre qui il giovane operato (che non puo’ ancora alzarsi), se ne sta tranquillo nel letto e non si lamenta.
Le ustioni sono davvero tantissime in questo periodo: medicare bambini e adulti bruciati su gran parte del corpo e’ un’operazione
psicologicamente pesante per l’operatore, oltre che dolorosissima per il malato…nonostante gli antidolorifici. Questi pazienti urlano per decine di minuti e rendono l’ambiente dei cameroni ancor piu’ invivibile.
Tutto questo comporta anche altri aspetti da non sottovalutare: una stanza sovraffollata puzza, soprattutto in questo mese di luglio in cui la gente ha freddo e non vuole aprire le finestre; l’aria e’ sovente viziata, soprattutto se ci sono ferrite infette, e qualche volontario non ce la fa…si sente male e sviene.
La situazione e’ estrema in maternita’, dove ci sono donne ovunque: in sala parto fa caldo, anche quando fuori e’ abbastanza rigido, soprattutto al mattino e di notte; ci sono odori pesanti ed e’ difficile mantenere la pulizia, soprattutto per il fatto che non c’e’ un minuto in cui le barelle siano vuote e sovente si partorisce anche su lenzuoli stesi per terra.
Da non sottovalutare l’aspetto psicologico che deriva dal vedere tante situazioni molto drammatiche tutte insieme: malati gravissimi portati in reparto a ritmo continuo; infermieri che fanno fatica a star dietro e che spesso non sanno neppure la condizione patologica dei nuovi arrivi. 
Quante volte mi succede per esempio di essere chiamato di notte per un cesareo urgente, per poi rendermi conto che la paziente era stata ricoverata il mattino con indicazione al cesareo, ma poi era stata persa di vista nel caos della maternita’. 
Onestamente il personale della maternita’ in questi giorni e’ totalmente sopraffatto.
Quante volte mi capita di mettere in lista operatoria un paziente che poi non viene trovato da nessuna parte in reparto, perche’ magari a me ha detto si’ al ricovero; io l’ho messo in lista e poi ha deciso di andarsene.
Quanta gente mi aspetta fino alla sera per un’ecografia e poi arriva un addome acuto che mi obbiga ad operare d’urgenza; quando esco alle ventidue dalla sala, non li trovo piu’ ad aspettarmi: hanno atteso tutto il giorno e se ne sono andati senza eco. Mi dispiace sempre tanto, ma come possiamo fare?
Per altro anche io spesso sono stremato e mi capita ora di fare errori in diagnosi ecografiche che non mi sarebbero possibili in condizioni non cosi’ stressate: in questa settimana ho mancato per ben due volte la diagnosi di placenta previa!!!
E’ purtroppo normale ormai per me operare pazienti che non ho visitato prima…c’e’ troppo lavoro e non riesco a visitare tutti gli operandi.
Vengono ricoverati da altri ed io me li ritrovo sul letto operatorio.
Ecco quindi che mi capita di entrare in sala per una miomectomia e di rendermi conto, a paziente aperta, che il problema erano invece le tube bloccate. Oppure e’ possibile che mi dicano di operare un idrocele, che poi in realta’ e’ un’ernia inguinoscrotale irriducibile.
E’ onestamente un caos dappertutto.
Certamente facciamo tutto quello che possiamo.
Operiamo tantissimo ed aiutiamo tanta gente.
La situazione e’ comunque abbastanza fuori controllo: due sere fa mi hanno informato alle ventidue che un paziente era era stato trovato con il pigiama dell’ospedale a Kaguma, villaggio a quattro chilometri da Chaaria.
Prima di mandare Fr Robert a recuperare il fuggitivo, ho chiesto agli infermieri in tutti i reparti se mancasse qualche malato all’appello: nessuno ne sapeva niente…ed e’ anche comprensibile in una situazione del genere.
Al ritorno di Fr Robert mi sono reso conto che si trattava di un bambino di 14 anni.
In pediatria non se n’erano accorti.
Questa e’ l’attuale condizione ospedaliera del lazaretto Chaaria.
Per me e’ una situazione pesantissima, ma psicologicamente del tutto accettata e per niente nuova.
Mi rendo comunque conto che possa essere shoccante per un volontario
di primo pelo nella nostra missione.

PS: Nella foto vedete Hella che sta insegnando ad un paziente operato di frattura femorale ed in follow up, a fare esercizi di piegamenti progressivi per riabilitare la funzionalita’ dell’articolazione dell’anca e del ginocchio. In questo sciopero sono decuplicati anche gli interventi ortopedici e quindi il bisogno di follow up post-operatorio.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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