domenica 8 ottobre 2017

Adrenalina

Sono le 23.30 e sono stanchissimo, ma purtroppo mi chiamano per cesareo.
La mamma e' una ragazzina diciassettenne con un grave distress fetale.
E' ovviamente ancora una bambina e non collabora affatto quando devo farle la spinale. 
Ci metto quindi piu' del consueto a metterla in posizione...e meno male!!!!
Quando infatti sto per infilarle l'ago nella schiena, dal corridoio mi giunge una voce concitata: "doc, corri subito in sala parto perche' abbiamo un podalico con la testa inchiodata dentro".
Non mi tolgo neppure i guanti sterili e corro all'impazzata.
Il piccolo corpicino pende dal corpo della mamma ed e' gia' tutto cianotico.
Mi affanno, ma non e' facile. La testa non ne vuole sapere di uscire.
Tiro con forza mentre la mamma urla di dolore.
Ho quasi paura di decapitare il piccolo.
Mi sto quasi per arrendere all'ineluttabile quando il bimbo inaspettatamente nasce tra le mie mani.
Lo depongo sulla barelle ed onestamente mi sembra morto.
Provo comunque con un massaggio cardiaco poco convinto...ottengo una bradicardia.
La mia adrenalina va alle stelle.
Tentiamo la rianimazione.
Il pupo non respira ma ci affanniamo con ambu ed ossigeno. L'attivita' cardiaca migliora continuamente.


Dopo dieci minuti otteniamo il primo gasping autonomo, e dopo mezz'ora un respiro regolare. 
Lascio quindi il neonato sotto ossigeno, e ritorno in sala per il mio cesareo.
E' tardi ma onestamente sono carico in quanto non pensavo che il bambino del podalico si sarebbe potuto salvare.
Il cesareo procede liscio. 
Mamma e bambino stanno bene quando lascio l'ospedale, ancora una volta nel cuore della notte.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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