lunedì 23 ottobre 2017

Terminata l'esperienza di tirocinio

Oggi ufficialmente ci siamo accomiatati dal gruppo di studenti di Medicina del quinto anno della Kenya Methodist University (KEMU), che hanno concluso un protratto periodo di tirocinio nel nostro ospedale.
Dapprima li abbiamo accolti solo per l'esperienza ortopedica e poi, per circa un mese, li abbiamo fatto girare nei vari reparti dell'ospedale, nell'ambito del tirocinio assegnato per il loro anno accademico: si sono quindi alternati in ambulatorio, sala operatoria, sala parto, pediatria e reparti di medicina generale.
Credo che i sette ragazzi che sono stati con noi abbiano molto apprezzato la nostra accoglienza, la nostra disponibilita' nei loro confronti, la nostra voglia di condividere le conoscenze e le manualita' della nostra professione.
Sono convinto che l'elevato numero di pazienti, la varieta' degli interventi chirurgici, la congestione estrema della maternita' con i moltissimi parti naturali e cesarei. le patologie spesso difficili e complesse dei reparti, siano stati per loro una grandissima occasione di apprendimento e di crescita professionale.


Come sempre capita, ci hanno promesso che torneranno ancora, anche al di fuori del curriculum universitario, per continuare ad apprendere.
Poi magari capitera' che si perderanno per sempre e nessuno tornera' mai piu' a Chaaria...per lo meno comunque ritengo che abbiamo lasciato un piccolo segno nella loro formazione professionale ed anche umana.
E' la prima volta che siamo stati scelti come ospedale di tirocinio universitario, ed e' indubbio che l'esperienza e' stata piu' che positiva.
Aspettiamo altri studenti tra alcuni mesi, alla conclusione del prossimo blocco di lezioni teoriche in facolta'.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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