giovedì 21 dicembre 2017

Il cuore dei poveri

Me la sono trovata in studio oggi. Alta, slanciata, bellissima.
La prima cosa che mi ha detto e’ stata: “non sono malata. Sono venuta a ringraziarti per avermi salvato la vita. Mi riconosci?”
“E’ molto difficile per me ricordare le persone perche’ in ospedale passa una media di 250 pazienti al giorno. Chi sei?”
“Celina…tre interventi che sempre complicavano in sesta giornata post-operatoria, quattro mesi in ospedale tra la vita e la morte…era l’inizio di quest’anno. Ancora non ricordi? Eri cosi’ preoccupato e passavi tutte le sere a controllare i drenaggi e la ferita sulla pancia”.
A questo punto mi si e’ accesa una lampadina e l’ho riconosciuta.
Diventando vecchio mi trovo ad avere le lacrime in tasca, e mi son messo a piangere.
“Sei diventata adulta in pochi mesi! Qui in ospedale eri uno scheletro e pesavi si’ e no 30 chili. Guardati ora! Che bello vederti cosi”.
Celina era stata ricoverata da gennaio ad aprile 2017. Tutto era iniziato con una tremenda peritonite.
L’abbiamo operata la prima volta ma c’erano innumerevoli perforazioni intestinali ed avevamo dovuto fare ampie resezioni ed anastomosi.


Per alcuni giorni sembrava andare bene, ma poi le condizioni generali peggioravano e dovevamo rioperarare al fine di riparare nuove perforazioni. Sia per lei che per me era una specie di stillicidio, tra speranza quando le cose procedevano bene, e sconforto quando di nuovo le situazione precipitava.
Personalmente ero disperato quando sono entrato in sala per la terza volta.
Tra me pensavo: ”se complica anche oggi non credo che saro’ in grado di aggredire nuovamente quell’addome martoriato”.
Miracolosamente pero’ Celina si era pian piano ripresa.
Era uno scheletro in quanto le ripetute resezioni intestinali l’avevano obbligata a settimane di digiuno, e qui non abbiamo la parenterale totale…ma le forze le sono tornate pian piano, anche grazie alla sua forza di volonta’.
Celina viene dal Tharaka, regione povera ed estremamente arida.
Alla dimissione, la mamma mi aveva pregato di lasciarla andare a casa con la figlia promettendomi che avrebbe raccolto dei soldi per pagare almeno una parte delle spese dell’ospedale.
Ovviamente non ci avevo creduto.
Tutti lo dicono e nessuno lo fa. Nessuno torna a pagare qualcosa dopo essere guarito.
E’ la stessa storia dei nove lebbrosi che Gesu’ ha guarito e che non sono tornati a ringraziare.
Oggi pero’ Celina e sua mamma mi hanno fatto piangere.
Hanno fatto sessanta chilometri di strada sterrata in mototaxi, trasportando sulla moto anche il dono che mi hanno voluto fare.
La mamma mi ha riempito di lodi.
Poi ha pregato a lungo: ringraziava Dio per me in quanto le avevo ridato la figlia che era stata in punta di morte per mesi.
Si e’ scusata del fatto che la siccita’ non le aveva permesso di raccogliere e vendere granoturco, ed e’ venuta con quello che poteva: una giovane capretta.
“Questa razza normalmente partorisce gemelli – mi ha detto – cosi’ potrai avere tante caprette”.
Il dono di una capra dalle nostre parti e’ un dono grandissimo e prezioso.
Ho pensato a quell’episodio evangelico in cui Gesu’ loda la vedova che nel tempio mette i suoi pochi spiccioli, perche’, a differenza dei ricchi e dei farisei, lei non dona del superfluo, ma offre tutto quello che ha.
La loro generosita’ mi ha commosso fino alle lacrime. Celina, che si era ammalata all’ultimo anno delle superiori ed ha quindi perso l’anno, mi ha detto che spera di ricominciare a studiare a partire da gennaio, quando qui inizia il nuovo anno scolastico.
Mi ha commosso vederla in divisa scolastica anche oggi, prima ancora che inizi la scuola: significa che quello di oggi era l’unico vestito buono che aveva per incontrarmi.
Sono sempre senza parole di fronte alla poverta’ dignitosa della nostra gente!
E la cosa che mi ha commosso ulteriormente e’ che ne’ Celina ne’ sua mamma mi hanno chiesto di sponsorizzarle gli studi.
Nella mia pratica quotidiana qui a Chaaria vedo sovente approfittatori che chiedono supporti economici anche quando non ne hanno bisogno e per il semplice fatto che io sono un bianco.
Queste due donne semplici, povere e dignitose, provenienti da un villaggio sperduto in una delle zone piu’ aride ed arretrate del Kenya, non hanno chiesto niente e sono venute solo per esprimere la loro riconoscenza.

Fr Beppe


Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....