giovedì 15 febbraio 2018

Una musica diversa

Di solito la pediatria di sera alle 21 risuona dei canti delle mamme.
E’ ormai una consuetudine consolidata, trasmessa di paziente in paziente, che, prima di dormire, si intonino canti di lode al Signore a mo’ di preghiera della sera.
Le donne cantano in coro e la melodia riempie l’ospedale, in quelle ore piu’ silenzioso e tranquillo.
Ma questa sera in pediatria la musica e’ diversa.
Sono urla disperate di una mamma che piange la morte del suo piccoletto.
Piange e singhiozza cosi’ forte che la si sente da lontano.
Un gruppo di donne della pediatria la scruta stando in disparte: sono tutte ammutolite, forse spaventate, certamente incapaci di andarle vicino perche’ non sanno cosa dirle.
Forse pensano al loro piccoletto ricoverato nella stessa stanza e quasi temono che qualcosa di simile possa succedere pure a lui.
Altre mamme sono piu’ coraggiose e le stanno vicino. La ragazza che urla e’ giovanissima, avra’ si’ e no vent’anni.
Mi ha fatto tanta tenerezza vedere una degente piu’ matura che se l’e’ presa sulle ginocchia mentre stavano sedute sulla panca esterna alla pediatria: la dondolava e le teneva la testa ricurva sul suo collo mentre le sussurrava cose nell’orecchio. 


Quella mamma disperata per la morte del figlioletto pareva ora lei stessa una bambina in cerca di consolazione dalla sua genitrice.
E’ stata una scena commovente! La storia e’ in se’ tristissima.
Quella mamma disperata ha partorito qui 10 giorni fa. E’ stata dimessa con un neonato che stava benissimo.
E’ rientrata stasera poco dopo le venti, con un bimbo in condizioni estreme di disidratazione e malnutrizione…non ne conosciamo la causa!
Abbiamo tentato tutti di prendere una vena per rianimare il piccolo, ma erano tutte collassate ed il bambino ci e’ morto tra le mani, e davanti agli occhi sgomenti della sua mamma.
Sono momenti tristi, angoscianti e scoraggianti.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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