sabato 14 aprile 2018

24/7…7/7

“Ma non potresti dare degli orari, per esempio stabilendo che i pazienti che arrivano dopo le 3 del pomeriggio, non possono piu’ vedere il dottore? E’ poi e’ chiaro che, se si tratta di emergenze, non ti tirerai certo indietro.”
“Non lo so. Questa cosa mi mette molto in crisi, perche’ il 24/7…7/7 e’ sempre stato un grande ideale che abbiamo cercato di perseguire sin dai primi tempi, nonostante la fatica”.
“Adesso dai anche i numeri? Cosa significano queste frazioni?”
“Scusami! Questo e’ un modo di parlare normale per noi che abitiamo qui. Gli Inglesi amano le abbreviazioni anche feroci: 24/7 significa ventiquattro ore al giorno, e 7/7 sta per sette giorni alla settimana.
Abbiamo da subito pensato al Cottolengo Mission Hospital come ad un pronto soccorso, che non puo’ chiudere ne’ di giorno, ne’ di notte.
Questo ideale lo abbiamo condiviso immediatamente con fr Maurizio, che sempre e’ stato sulla mia stessa lunghezza d’onda. 
Onestamente e’ stato in ogni tempo un ideale molto duro da realizzare, e non siamo mai riusciti ad arrivare ad una soluzione stabile, in quanto siamo troppo pochi e le stesse persone che vengono chiamate per emergenze notturne, sono poi anche quelle che devono lavorare tutto il giorno l’indomani”.


“Ma perche’ non organizzi che ci sia un turno tra te ed il dott Ogembo per la notte?”
“Ci ho pensato moltissime volte, ma non e’ cosi’ semplice. Il 99% delle chiamate sono legate a complicanze ostetriche, quasi sempre a tagli cesarei. 
Bisogna quindi organizzare un sistema di chiamata molto complesso: prima di tutto occorre allertare l’anestesista, che abita qui fuori negli alloggi dello staff; poi bisogna svegliare Ogembo con il telefonino, e quindi disturbare una terza persona che vada a notte da Chaaria e’ sia lungo che pericoloso. 
Cio’ e’comunque quanto facciamo quando io sono assente per un ritiro o per un convegno, ma e’ alquanto complesso. 
Se poi si tratta della stagione delle piogge, la situazione puo’ essere ancora piu’ complicata, in quanto e’ gia’ capitato che l’ambulanza si sia impantanata nel fango, arrecando pericolosi ritardi ad un cesareo gia’ di per se’ urgente”.
“Ma devi comunque renderti conto che stai invecchiando, e che le forze tenderanno a diminuire, e non a crescere con il passare del tempo”.
“Lo tocco con mano ogni giorno. 
Anni fa potevo lavorare tranquillamente fino alle 23.30 e poi alzarmi lucido il mattino seguente. Riuscivo a gestire urgenze notturne digerendole velocemente, magari con una breve ‘pennichella’ pomeridiana. 
Ora e’ piu’ dura, e quando, come questa settimana, ho emergenze alle due di mattina per tre notti consecutive, faccio veramente fatica a ritrovare l’equilibrio, sia fisico che psicologico: mi alzo con delle emicranie che mi accompagnano tutto il giorno; tendo ad essere di cattivo umore, e purtroppo a volte perdo le staffe con i malati per motivi banalissimi”.
“Ma allora devi trovare delle soluzioni… non ha senso sacrificarsi per i pazienti e poi essere cosi’ logoro, che alla fine li tratti anche male, quando in realta’ non ne possono nulla!”
“Gia’… Servire i malati e’ il centro della mia spiritualita’, ed ogni volta che rispondo bruscamente ad un poveretto che ha la sola colpa di essermi capitato sotto le grinfie nel momento sbagliato, mi viene un senso di colpa che mi pesa sullo stomaco come un macigno per molte ore… 
Ma il problema sono sempre i soldi! 
Ci vorrebbe piu’ personale: sicuramente oggi avremmo necessita’ di un terzo medico e di un secondo anestesista. Infatti non potrei mai pensare di chiedere a Jesse la reperibilita’ 24/7…7/7: questo lo faccio io da piu’ di dieci anni, in quanto sono un Religioso; ma lui ha una famiglia ed una vita sociale che non gli permetterebbe di avere questo guinzaglio che lo tiene legato a Chaaria in attesa di una eventuale chiamata”.
“Non ci avevo mai pensato a fondo: la tua situazione, in cui sei sempre di guardia, ti rende come un cane legato ad una catena. 
Non puoi mai essere troppo lontano dall’ospedale, in quanto devi poterci tornare in tempi utili per salvare il bambino in caso di cesareo.”
“La cosa piu’ dura e’ neppure questa! E’ piuttosto andare a letto tutte le sere senza mai sapere se potrai dormire fino al mattino seguente, oppure no!”
“Tale situazione ti portera’ all’esaurimento nervoso!”
“Questa cosa me la dicono in tanti, sin dall’inizio della nostra avventura con l’ospedale insieme a Maurizio e Lorenzo… ed e’ vero che a volte mi sento cosi’ giu’ da dubitare di essere sull’orlo di una crisi di nervi… ma poi passa, quasi per miracolo! 
Inspiegabilmente il Signore mi da’ la forza di continuare e di rigenerarmi, dopo aver toccato il fondo ed aver temuto per la mia integrita’ mentale: a volte basta un piccolo successo in sala parto, oppure un’operazione ben riuscita, o un bimbo che sorride dopo una trasfusione… altre volte e’ una mail di una persona cara a riportare il sorriso sulle mie labbra.
Sono queste le carezze della Divina Provvidenza che mi danno un forte colpo d’ala, e fanno risorgere il mio entusiasmo dalle ceneri di una depressione che mi pungeva gli occhi di lacrime qualche minuto prima”.
“E ridurre il numero dei servizi? Chiudere qualche attivita’ ospedaliera? Limitare il numero dei ricoveri?”
“Finche’ ne ho la forza questa e’ un’opzione che nemmeno prendo in considerazione, in quanto in Africa ci siam venuti per servire, ed il Cottolengo mi incoraggia a credere che il nostro servizio deve arrivare “fino al sacrificio della salute ed anche della vita”.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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