giovedì 31 maggio 2018

Sono le 5 di mattina...

...e sono come tramortito quando suona il telefono.

Ieri sera abbiamo finito in sala con Luciano che erano passate le 22, e sono andato a letto alle 24. Gli interventi ortopedici erano stati particolarmente difficoltosi e ci avevano succhiato tutta l'energia vitale.
La chiamata e' comunque concitata, come tutte le volte che c'e' una emergenza in maternita'.
Ho sonno ma non posso piu' dormire.
Mi vesto in fretta e non mi lavo neppure la faccia.
Scendo di corsa in ospedale e trovo l'infermiera della notte che sta preparando una donna per il cesareo.
"E' arrivata or ora. Si tratta di una presentazione podalida. Un piedino si sente quasi al piano pelvico, ma le membrane sono integre".
Mentre mi organizzo per chiamare i miei aiutanti in sala, sento la partoriente urlare forte e ritorno di corsa in maternita'.
L'infermiera mi dice subito: " ha avuto una fortissima contrazione ed eccoci qua: il piccolo sta nascendo"
In effetti il corpo del nascituro e' fuori per meta'.
Le gambine sono completamente fuori e dal canale del parto gia' appaiono le natiche.


"Non c'e' tempo per portarla in sala. Sta partorendo. E poi il bimbo e' gia' quasi fuori", asserisco io mentre mi metto le protezioni ed i guanti.
Mi sincero che non sia una primipara e mi viene detto che questo e' un terzo figlio per lei.
Decido quindi di assecondare le fortissime contrazioni e di aiutarla con il parto podalico.
Quando il bimbo e' partorito per meta', non si puo' piu' pensare all'intervento.
Esce il torso senza grosse difficolta'. Ho qualche momento di tensione mentre libero le spalle, che pero' poi escono.
Sembra quasi fatta... ma la testa non vuole saperne di uscire.
Passano i minuti.
La mamma ha tanto male e spinge fortissimo, ma purtroppo invano.
Mi tremano le ginocchia e sudo come un cavallo.
Mi sento disperato perche' so che quel bimbo mi sta morendo tra le mani.
E' tutto fuori fino al collo, ma la testa pare incollata alla mamma.
Lottiamo per quasi un'ora.
Il battito cardiaco dal cordone e' ormai scomparso, e ci sembra giusto informare la donna che il bimbo non c'e' piu'. Credo comunque che se lo sentisse, perche' non si e' lasciata andare a scene di disperazione.
Ci chiede il cesareo perche' si sente morire. Io sono cosi' depresso che quasi non riesco a parlare.
Le balbetto che il cesareo deve essere l'ultima ipotesi perche' implicherebbe decapitare il bambino ormai fuoriuscito, e poi fare l'operazione solo per rimuovere la testa rimasta dentro.
Lei si fida di noi e continua a pregare sottovoce.
Ci facciamo aiutare dall'oxitocina in vena e continuiamo a stare vicino alla donna.
La testa finalmente esce dopo circa due ore.
La donna si rilassa e non sanguina.
Io continuo a dirle che mi spiace e lei mi ripete che ringrazia Dio di essere viva.
Mi sento a pezzi.
Certo questo non e' stato il modo migliore di iniziare una giornata che poi si e' rivelata convulsa e pesante come quella di ieri.
Che peso essere sempre da solo a prendere la decisione ultima!

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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