venerdì 29 giugno 2018

Ciò che conta è amare

Quando ero giovane ho letto il bellissimo libro di Carlo Carretto, “cio’ che conta e’ amare”.
Se devo essere sincero, non mi ricordo quasi nulla del suo contenuto, ma rammento che mi aveva toccato molto.
Mi e’ tornato alla mente oggi, quando una mia amica mi ha chiesto se lo avevo letto e se ne volevo una copia.
Mi ha nuovamente colpito molto il titolo, che mi ritorna nella mente come un mantra da questa mattina.
Istintivamente mi ritrovo pienamente d’accordo con l’autore e sottoscrivo la sua affermazione: amare e’ l’unica cosa che conta.
Amare i poveri che serviamo ed a cui doniamo la vita, amare il prossimo con cui condividiamo il nostro cammino, amare gli amici e sforzarci di farlo anche con i nemici, amare i confratelli della comunita’ anche quando non e’ facile, perdonare chi ci ha fatto del male.
Sono convinto che tutto quello che non e’ amore e non e’ dettato dall’amore, porta solo a sofferenza e divisione.


Analizzando la nostra vita lo possiamo toccare con mano.
Abbiamo provato gioia dopo un litigio, dopo aver fatto del male ad un altro volontariamente o involontariamente, dopo aver calunniato nel segreto?
Normalmente astio, divisione, conflittualita’ portano solo a sofferenza e soprattutto non costruiscono mai niente di positivo e di duraturo…e naturalmente non danno gioia.
Tutte le cose che ho fatto con rancore, non hanno avuto un futuro, sono crollate in poco tempo…perche’ non erano dettate dall’amore.
A volte mi chiedo perche’ e’ cosi’ difficile amarsi e volere il bene degli altri, quando tutto sappiamo benissimo che saremo scontenti dopo ogni alterco.
Naturalmente parlo prima di tutto per me che, pur essendo un religioso, nella mia vita ho lasciato molto spazio a cio’ che non e’ amore, a cio’ che e’ divisioni, cattiveria verso gli altri, giudizio, chiacchiera malevola.
Credo che il problema sia prima di tutto la gelosia: non siamo capaci ad amare perche’ siamo gelosi degli altri, di quello che hanno e noi non abbiamo, di quello che sanno fare e di cui noi siamo incapaci.
Ecco allora che il mio fratello, il mio prossimo mi fanno ombra, mi fanno sentire inferiore, e quindi reagisco in modo irrazionale nei loro confronti, li attacco, li voglio distruggere nella vana illusione che distruggendo chi ha piu’ di me, io poi diventi piu’ importante di lui, piu’ benvoluto, socialmente accettato ed affermato…in ultima analisi nella speranza di trovare gioia.
Ma e’ un’illusione: ogni volta che facciamo del male agli altri, poi ci sentiamo in colpa, ci ritroviamo vuoti e soprattutto infelici.
Altro problema che ci porta al conflitto e’ la non accettazione dei nostril limiti. Se fossimo davvero convinti che siamo tutti dei peccatori, non avremmo tempo, voglia o coraggio di giudicare il prossimo che sbaglia o ha dei difetti.
Spesso pero’ abbiamo un concetto di noi stessi un po’ ipertrofico e quindi ci pensiamo migliori degli altri ed in diritto-dovere di giudicarli, magari alle spalle.
Mascheriamo questo come correzione fraterna, diciamo a noi stessi che vogliamo correggere il nostro prossimo, riportarlo sulla retta via, salvargli l’anima. Ma la realta’ e’ che lo vogliamo umiliare per sentirci migliori di lui, o magari per punirlo di qualche torto vero o immaginario che da lui abbiamo ricevuto.
Spesso usiamo il prossimo come capro espiatorio: cerchiamo il suo tallone d’Achille, lo sbandieriamo ai quattro venti e lo usiamo come paravento per non cambiare I nostril lati oscuri: “la colpa e’ solo sua se le cose vanno male; guarda come si comporta!”
Ma anche chi usa il prossimo come capro espiatorio per coprire la propria coda di paglia, poi non e’ felice, perche’ solo cio’ che e’ fatto per amore riempie il cuore di gioia.
Ho 56 anni.
Ovviamente mi rendo conto di aver iniziato l’ultima parte del mio viaggio terreno: magari campo fino a cento anni, ma questo non conta.
La gioventu’ e’ passata.
La vita adulta con I suoi obbiettivi da raggiungere ora cede pian piano il passo alla maturita’ e poi inesorabilmente anche alla vecchiaia.
Ho fatto tantissimi sbagli nella mia vita.
Ho lottato per le mie idee, per esse ho a volte litigato ed ho ferito della gente…senza rendermi conto che non e’ mai giusto ferire una persona che la pensa diversamente da me, perche’ siamo diversi nelle idee ma siamo tutti fratelli e figli di Dio.
E poi, con una punta di tristezza, mi rendo conto che, come sono cambiato in tante cose, sia nell’aspetto fisico che in quello psicologico e spirituale, cosi’ tante idee su cui mi sono incaponito
facendomi nemici, oggi non le condivido neanche piu’ tanto.
Non ha avuto senso aver fatto soffrire delle persone per idee diverse da me, perche’ ora anche io la penso diversamente. Era meglio volersi bene e lasciare che ognuno la pensi come vuole.
Negli anni che mi rimangono da vivere (anche se sono altri 50) mi voglio focalizzare su poche cose essenziali…e la frase di oggi mi fa da guida.
“Cio’ che conta e’ amare”, e questo e’quanto mi sforzero’ di fare, pur con i miei limiti, lasciando perdere tutto il resto.
Basta con i conflitti, con i diverbi, con le piccole e grandi vendette, basta con I risentimenti.
Li considero una perdita di tempo e di energie, e sopattutto una fonte di infelicita’.
Mi voglio focalizzare sulle persone a cui voglio bene e su chi me ne vuole.
Certamente i nemici ci sono eccome, ma io non vado a cercarli; tengo le distanze, e da me non avranno alcuna provocazione in futuro.
Il centro su cui voglio focalizzarmi per riversare l’amore e le energie che ancora il Signore mi vorra’ dare sono certamente i malati a cui voglio donare la mia vita.
Ecco, “cio’ che conta e’ amare”, e voglio fare di cio’ il mio impegno principale.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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