giovedì 28 giugno 2018

Chiudere il peritoneo o meno

Le vecchie tecniche chirurgiche di taglio cesareo prevedevano l’apertura verticale sotto-ombelicale e la chiusura separata di tutti gli strati della parete addominale.

Poi, negli ultimi 20 anni si e’ via via imposta una tecnica rapida di cesareo, in cui l’incisione cutanea e’ orizzontale, ed il peritoneo non viene richiuso alla fine dell’operazione.
Da vari studi era infatti evidente che suturare il peritoneo aumentava la percentuale di ematomi preuterini e non aveva una grande importanza nel processo di guarigione. Altri dati dimostravano infatti che il peritoneo si chiude per ricrescita e non per giustapposizione delle parti sezionate.
Nel 2004, quando abbiamo iniziato la nostra attivita’ chirurgica, noi ci siamo attenuti a tali visioni moderne: peritoneo lasciato aperto, e chiusura immediata della fascia senza punti di avvicinamento sui muscoli. Abbiamo sempre aperto l’addome con la incisione di Pfannestiel, cioe’ orizzontalmente.
Per almeno un anno e mezzo non abbiamo avuto problemi e non abbiamo avuto motivo di ripensare o modificare la nostra tecnica chirurgica: le mamme infatti guarivano benissimo e nessuna sviluppava un laparocele post-operatorio.
Le difficolta’ sono invece sorte quando abbiamo iniziato a ricoverare persone con un pregresso cesareo. Questo e’ avvenuto molto presto... e non dopo i 2 anni canonici, perche’ in questa cultura il desiderio di figli fa’ si’ che una mamma non tenga conto psicologicamente dei rischi di un ricesareo in tempi brevi, seppur tali pericoli le vengano ampiamente illustrati.


Molti reinterventi sono avvenuti dopo un anno e mezzo o anche meno, soprattutto se il primo figlio era morto al parto.
Riaprendo addomi precedentemente operati, abbiamo avuto delle difficolta’ inaspettate che a volte ci hanno fatto piangere e temere per la vita stessa della donna in sala.
La prima osservazione e’ stata che le mamme spesso avevano sviluppato sulla cicatrice degli enormi cheloidi cicatriziali, che quindi andavano escissi prima di approfondire l’incisione ai piani piu’ profondi.
Ma la cosa piu’ terribile, e purtroppo estremamente frequente e’ stato il fatto che l’utero aveva preso aderenza massiva ai muscoli della parete addominale anteriore... era diventato un blocco unico!
Estrarre il feto e’ stato spesso difficilissimo. Abbiamo dovuto tagliare un po’ alla cieca finche’ vedevamo apparire del liquido amniotico. Queste aderenze poi rendevano il segmento inferiore uterino molto piu’ rigido, e, nel momento della estrazione manuale della testa fetale, si verificavano sovente lacerazioni molto estese.
A rendere il quadro piu’ complicato era il fatto che in molte donne le aderenze dal pregresso cesareo erano cosi’ estese che non si riusciva ad estroflettere l’utero al di fuori della parete addominale nella fase di sutura. Si doveva ‘cucire’ all’interno della cavita’ addominale, in spazi angusti, molte volte con difficolta’ immani a raggiungere certe zone in cui da un vaso zampillava sangue arterioso.
Piu’ di una volta abbiamo davvero ‘trafficato’ per riparare una lacerazione che aveva coinvolto un ramo della arteria uterina a cui noi non riuscivamo ad arrivare con pinze e con filo di sutura, a causa di una pelvi bloccata da adesioni dure come pietra.
Per non parlare del fatto che a volte non si poteva neppure aspirare il sangue dalla cavita’ peritoneale completamente imbrigliata.
Una cosa che sempre mi chiedevo durante certe operazioni difficilissime era: ma se un giorno questa stessa donna avesse bisogno di una isterectomia, vuoi per fibromi o per tumore, come fara’ il chirurgo ad operarla? In certi casi ho pensato che anche una appendicectomia potrebbe diventare una operazione impossibile a causa delle aderenze.
Siamo andati avanti cosi’ fino alla meta’ del 2007.
Chiedevamo consiglio a molti ginecologi e chirurghi, ma ci dicevano tutti che il peritoneo non si doveva chiudere.
Inutile dire che, quando ricoveravamo un pregresso cesareo per il re-intervento, eravamo tutti tesi, e Ogembo lasciava volentieri il compito a me, soprattutto se la prima operazione era stata fatta a Chaaria.
Da tempo ci eravamo fatto l’idea che il peritoneo aperto fosse la causa delle nostre disgrazie. Infatti, quando ricoveravamo una donna che aveva avuto un pregresso cesareo in un ospedale governativo, dove si segue per lo piu’ la tecnica tradizionale con taglio verticale e chiusura di tutti gli strati separatamente, il reintervento era sorprendentemente facile, senza alcun problema legato alle aderenze.
Abbiamo quindi preso la nostra decisione pratica: pur continuando con il taglio di Pfannestiel e le tecniche di apertura consigliateci dai ginecologi italiani, abbiamo iniziato a chiudere sia il peritoneo viscerale sull’utero, che quello parietale.
Ebbene, il fatto e’ che quando rioperiamo una nostra mamma che abbia avuto il pregresso cesareo prima di quella data, spesso piangiamo e lottiamo ancora; ma se una donna e’ stata da noi operata dopo la meta’ del 2007, il problema delle aderenze e’ minimo e l’intervento non e’ molto differente da quello eseguito su una primipara.
Naturalmente non voglio affermare che quello che dicono i libri di testo sia sbagliato, ma il nostro studio osservazionale basato ormai su oltre molte centinaia di ri-cesarei, ci dice che a Chaaria e’ indubbiamente consigliabile chiudere il peritoneo.
Le ragioni potrebbero essere varie: ritornando alla osservazione dell’alta incidenza di cheloidi, si potrebbe pensare che i pazienti dell’Est Africa abbiamo una maggior tendenza a cicatrici ipertrofiche e fibrotiche; e questo potrebbe portare anche ad una piu’ spiccata propensione a complicazioni di tipo aderenziale. 
Altro fatto potrebbe essere ricondotto alle condizioni di asepsi della nostra sala operatoria, che non sono certo paragonabili a quelle di un reparto chirurgico italiano: forse, durante il processo di guarigione si sviluppano delle infezioni che poi l’organismo supera con il grande
contributo dell’omento, che pero’ va poi ad incrementere le adesioni.
Da ultimo penso anche ad un ruolo importante delle infezioni sessualmente trasmesse, e soprattutto alla malattia pelvica infiammatoria che spesso creano delle condizioni non ottimali gia’ prima dell’intervento con precedenti pelvi-peritoniti ed ascessi pelvici.
Questo piccolo ‘poster’ naturalmente non mette in discussione la validita’ della tecnica chirurgica in altre parte del mondo, ma contestualizza la tecnica stessa sul nostro campione di popolazione che pare piu’ adatto ad un intervento leggermente modificato rispetto a quanto proposto dalla letteratura.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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