mercoledì 27 giugno 2018

I vinti

Ero molto teso oggi quando attendevo l’orario di visita per incontrare il marito della defunta di ieri in sala parto. Non sapevo quale sarebbe stata la sua reazione, ed avevo paura che mi avrebbe aggredito con violenza. 
D’altra parte oggi la mia situazione emotiva è molto labile, e, dopo quel che è successo ieri, mi sento davvero le lacrime in tasca. 
La notte scorsa è stata tremenda, quasi del tutto insonne; quando poi riuscivo ad addormentarmi, incubi tremendi mi attendevano sotto il cuscino e mi facevano risvegliare di soprassalto.
Poi il momento atteso e temuto è finalmente arrivato, ed è stato necessario parlare con quel coniuge.
So di essere stato confuso, mentre cercavo di spiegare sia quello che era successo la sera precedente, e sia anche il dispiacere che provavo per quanto era capitato. 
Mescolavo le parole alle lacrime che mi scendevano sulle gote quasi senza che io me ne accorgessi. 
La mia voce era rotta e tremante mentre ripetevo: “non c’è stato ritardo. Ero presente in sala parto e sono intervenuto tempestivamente. 
Ho fatto tutto quello che si poteva fare in una situazione del genere. Le abbiamo dato due sacche di sangue, le abbiamo somministrato tutti i farmaci a nostra disposizione”.
Lui mi guardava con occhio triste, e davvero non ho potuto trattenere le lacrime quando ha abbozzato una sua risposta: “lo so che hai fatto tutto quello che potevi e che le medicine sono state somministrate tutte e in tempo, ma questo è l’ineluttabile della vita. E’ ‘kazi ya
Mungu’ (la volotà di Dio). 


Se Dio ha stabilito così, noi cosa ci possiamo fare? E poi, non dovremo passare anche noi di là un giorno o l’altro? Toccherà anche a noi morire”.
Le sue parole mi hanno fulminato. Sono scoppiato a piangere senza ritegno davanti a lui.
Queste sono le lezioni dei poveri, i pugni nello stomaco che solo loro sanno darti.
Li possiamo chiamare fatalisti, ma quanta forza c’è in loro nell’affrontare una vita in genere ingrata e crudele. 
Essi sono i vinti della storia; sono i perdenti, e per questo sono rassegnati di fronte ad ogni tipo di evento... tanto non possono farci niente per cambiare: se non piove, essi avranno la fame. Se piove, essi non avranno la strada per raggiungere l’ospedale. Sono davvero i derelitti.
Quando gli ho detto che siamo disponibili a tenere il suo bimbo tra i nostri orfani per vari mesi, finchè egli si sarà sistemato, lui mi ha chiesto perdono e si è come scusato per non potermi dare una risposta immediata: “posso andare a casa e consultare il resto della famiglia?”
Mi sono rispuntate le lacrime agli occhi.
Mentre lo salutavo, con commozione ho pensato che in tutti questi anni a Chaaria, le poche volte che ho avuto problemi con i parenti è stato sempre e solo con gente altolocata o comunque in una posizione sociale che li portava ad atteggiamenti di una certa presunzione. 
Solo i ricchi hanno tentato più volte di far del male a Chaaria, accusandoci di vari tipi di incompetenza o negligenza.
I poveri invece non ci hanno mai fatto del male, ed anche nelle situazioni più disperate, sono riusciti addirittura a ringraziarci ed a consolarci.
Dopo l’incontro con questo marito, ripenso all’epopea dei vinti di Giovanni Verga, ma rivado con la mente anche al Vangelo, là dove Gesù dice di essere venuto ad annunciare la buona Notizia ai poveri. 
Sì, perchè i poveri sono semplici e la buona Novella la sanno accogliere; i ricchi ed i sapienti del tempo di Gesù già commentavano: “da Betlemme potrà venire qualcosa di buono? Studia e vedrai ...”
Il vedovo di oggi mi ha fatto riflettere anche sulla nascita di Gesù in una capanna, e soprattutto sul fatto che fossero i pastori i primi testimoni della sua incarnazione: se fosse nato tra i ricchi di Gerusalemme, nessuno gli avrebbe creduto.
Stasera sono ancora molto turbato dalla morte della donna in sala parto; ancora ho gli occhi gonfi ed il cuore pieno, ma l’incontro con suo marito mi ha donato anche tanta pace dentro. Mi ha nuovamente radicato nella scelta preferenziale per i più poveri.
Per questo, mentre ringrazio il Signore della pace del cuore che pian piano prende il sopravvento sul turbamento di ieri, mi sento molto debitore di questo “vinto della storia”, di questo semplice, di questo povero.
Ora prego per l’anima della mamma che ieri è andata in Paradiso, e rivado con la mente all’esclamazione di esultanza di Gesù nel Vangelo: “Ti ringrazio, o Padre, perchè hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti ed agli intelligenti, e le hai rivelate ai semplici”.

PS foto di Maria Sole Denaro

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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