giovedì 7 febbraio 2019

Quando sono triste...

...la cosa migliore da fare e' andare nel reparto di degenza.
Quando mi avvio tra quei letti, sempre mi pare di entrare in un lazzaretto di manzoniana memoria.
Tanti pazienti ammucchiati e stipati su giacigli piccolissimi; puzza di sudore e di umanita', gemiti di dolore.
Poi vedo volti giovanissimi e sfigurati dalla malattia, ragazzi che non possono dormire a causa di crisi asmatiche incontrollabili dalla nostra limitata terapia, bambini che muoiono di tumore.
Sono stato poco fa a vedere Kaloki, una donna sulla quarantina, abbandonata dalla famiglia dopo un incidente stradale 3 anni fa.
E' vissuta di stenti in un tugurio, assistita da qualche Buon Samaritano. Non si e' piu' alzata dopo l'incidente e nessuno l'ha portata in ospedale neppure per un gesso.. Ha tre fratture: femore e tibia sinistri; tibia destra. E' anemica ed emaciata.


Oggi l'ho operata di tutte e tre le fratture, ma le sue osse avevano la consistenza della carta velina, e le sue ginocchia erano piegate a novanta gradi e rigidissime.
Chissa' se un giorno riusciremo a rimetterla in piedi o se sara' condannata al letto per sempre.
Che triste storia di abbandono!!!
E come lei, ci sono tante altre persone ammalate ed abbandonate in ospedale!
Ed allora come faccio ancora a lamentarmi?
Entrare in reparto e' come una botta di adrenalina, e' come sentirti un pugno dello stomaco ed una voce che ti dice: "non fare la vittima!
Ci sono molti che stanno peggio di te".

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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