martedì 25 marzo 2008

Incontri Pasquali

Domenica pomeriggio il dott. Ogembo mi ha detto di prendermi tre ore di riposo, perchè lui mi avrebbe coperto in ospedale. Ho quindi deciso di fare una piccola gita con Kawira che aveva il pomeriggio libero alla scuola, e non poteva certo raggiungere casa sua che è molto lontana.
Abbiamo deciso di andare Meru, perchè Kawira non l’aveva mai vista: in 13 anni di vita non era mai riuscita ad arrivare al capoluogo.
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E’ stato bello farla salire in macchina: anche questa era per lei “una prima volta”. Per il passato aveva sempre viaggiato sul portapacchi della bicicletta di suo padre... Lo stupore più grande per la piccola è stato l’asfalto, che prima non aveva mai visto. Mi ha chiesto di fermare l’auto e poi si è messa a camminare su e giù; lo ha toccato e mi ha detto che era molto caldo sotto i raggi del sole. Altra meraviglia per lei è stata il vedere le automobili sfrecciare sulla corsia opposta... all’inizio aveva paura che ci venissero addosso e urlava, ma poi rideva ogni volta che vedeva passare un veicolo e ripeteva un solenne: “ACHIAA”, che significa più o meno: “mamma mia!!!”
Altro momento critico è stato quando in un bar, le ho offerto una bibita che ci hanno servito con una cannuccia. Non sapeva assolutamente come usarla ed ho dovuto tribolare molto a convincerla a provarla.
Ma l’incontro che l’ha segnata di più è stato con le centinaia di “street boys” che popolano le vie della cittadina, sniffando colla e chiedendo l’elemosina. E’ proprio vero che la miseria rurale è sempre più dignitosa di quella urbana, al punto che anche una povera come Kawira è rimasta sconvolta dalla vista di questi ragazzi e bambini, sporchi, stracciati e completamente “fatti” dall’odore della colla.
L’ho riportata a scuola prima delle 18 ed era raggiante.

Oggi invece ho visto Lina che è venuta a parlarmi della sua situazione: ha fatto un altro ciclo di chemioterapia che le ho pagato io con le offerte di Francesco. Dice che ne faranno ancora un ultimo e poi decideranno per la radioterapia. A dire il vero non è migliorata niente ed anzi mi sembra che la massa sia cresciuta ulteriormente in bocca.
Lei è ancora vivace e piena di speranza. Ha perso tutti i capelli ed ha tanto male. Quello che la preoccupa molto, è che le hanno detto che il prezzo dell’ultimo ciclo sarà molto superiore perchè il Kenyatta National Hospital ha perso degli sponsor che fornivano i chemioterapici: a dire il vero comunque anche il ciclo che ho appena pagato è stato costosissimo, per cui mi aspetto una bella sberla per il prossimo.
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Altro elemento di turbamento è il fatto che i medici le hanno detto che se farà la radioterapia diventerà cieca, a causa del fatto che la zona da irradiare è a ridosso degli occhi. Mi ha chiesto un consiglio, ed io non ho saputo cosa dirle. Le ho promesso che mi sarei informato da qualche specialista in Italia. Che situazione terribile. Penso che sia davvero angoscioso a 16 anni dover scegliere se accettare una terapia che ti toglierà la vista , oppure decidere di morire vedendoci ancora. Abbiamo fatto una foto insieme, e lei mi ha detto di mandarla a quelli che la aiutano, per far loro capire che il problema è davvero serio, e che lei non si è inventata niente. Mi ha detto di dirvi che sarà onesta al centesimo nell’usare i soldi che le do, solo ed esclusivamente per le medicine.
Ciao. Ringraziamo Dio di quello che abbiamo e facciamo un esame di coscienza quando ci lamentiamo di questo o di quel piccolo problema.

Un abbraccio.
Fr Beppe.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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