martedì 22 aprile 2008

Giorno di lutto

In ospedale oggi abbiamo avuto una ressa incredibile ed anche qualche difficoltà in sala operatoria. La giornata è stata resa più difficile, dal fatto che moltissimi membri dello staff hanno chiesto di partecipare ai funerali di Jamlick, per cui il nostro organico era gravemente carente. Ho dovuto anche donare il sangue ad una bambina che non si sarebbe salvata da una grave anemia: l’emoteca era infatti vuota e la mamma aveva un gruppo non compatibile.
Io ho partecipato alle esequie per soli 30 minuti, nei quali comunque ho potuto vedere una folla immensa di gente, segno che tutti volevano bene al nostro amico che ora già speriamo in Paradiso. Jamlick è stato seppellito nel piccolo cortile antistante la graziosa casetta in legno e pietre, che pian piano si era costruito con 8 anni di lavoro al Cottolengo Mission Hospital.
Oggi è anche venuto a trovarmi Padre Orazio Mazzucchi che da qualche mese non è più a Matiri, ma è stato trasferito a Isiolo: mi ha raccontato di tanta instabilità che ancora regna in quella parte del Kenya, dove continuano a susseguirsi razzie di bestiame che spesso finiscono con morti e feriti. Mi ha detto che in settimana un cittadino cinese che lavorava alla costruzione di un acquedotto per conto della diocesi, è stato freddato con un fucile, durante una rapina.
La cosa più stressante di queste ultime due settimane è rappresentata dal fatto che, per ragioni a me non chiare, in sala parto abbiamo avuto ben 4 neonati che non ce l’hanno fatta: è terribile per noi quando capitano questi periodi, perchè ci vengono dei sensi di colpa e si comincia a fare autocritica, per vedere se qualcosa può dipendere da nostre lacune o errori.
Anche stasera siamo nuovamente saliti al cimitero del Centro per accompagnare alla fossa ben 12 cadaveri, di cui 8 bambini. Quanta gente che ora pregherà per noi, ma anche quanta sofferenza che tutti i giorni ci passa accanto e ci ferisce.

Ciao. Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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