sabato 27 settembre 2008

Una tripletta


…ma non parliamo di calcio. Siamo noi la tripletta; lo sapevate che ci chiamiano cosi’? Ci hanno stipati in questa incubatrice, che a dir la verita’ e’ piuttosto stretta e scomoda. Meno male che almeno e’ calda, ed e’ umida al punto giusto.
Non mi sembra vero che fino a ieri potessimo stare comodi tutti e tre nell’utero della mamma.
La sentivamo spesso lamentarsi di mal di schiena, ma non aveva mai voluto presentarsi all’ospedale, nonostante le pressioni del papa’. Anche noi da dentro gridavamo e scalciavamo a piu’ non posso, ma la cosa strana e’ che noi dall’interno della pancia sentiamo benissimo i discorsi dei grandi, mentre loro non ci ascoltano mai, nemmeno quando ci muoviamo all’impazzata. Avevamo cercato di far capire a nostra madre che eravamo tre e che forse era meglio dirlo al dottore, ma lei non riusciva proprio a percepire i nostri suggerimenti.
La sua panciona era enorme, e tutte le comari del villaggio le dicevano che forse avrebbe partorito gemelli. Lei pero’ era sicura di se’: “ho gia’ altri 4 bimbi e so che normalmente nascono molto grandi. Sicuramente è uno solo, ma molto grosso”. Noi sentivamo, ci ribellavamo, ma tutto era inutile. Lei si accarezzava la pancia due o tre volte, si metteva le mani sui lombi per qualche minuto... e poi riprendeva le sue normali attivita’.
Il problema di essere in tre nell’utero consiste nel fatto che non c’e’ spazio sufficiente per crescere. Noi ci vogliamo bene. Siamo gemelli, ma rimane il punto che i nutrimenti che la mamma ci offre con la sua placenta, li dobbiamo dividere per tre. Anche lo spazio e’ quello che e’, e ad un certo punto i chili smettono di aumentare.
Siamo nati bene, anche se non con qualche spavento.

Mamma ha cominciato ad avere le doglie verso le due di notte e si e’ messa in cammino verso Chaaria, accompagnata da alcune donne del nostro clan. La nostra casa e’ a Miomponi, sulla strada verso Gatunga. E’ stato un tragitto molto difficile per tutti noi. Spesso la nostra mammina aveva male e si doveva fermare, ma anche noi non ce la passavamo per il meglio: venivamo scossi dalle prepotenti contrazioni, che ci impedivano di respirare bene.



Il parto poi non e’ stato semplice per niente. Quando siamo arrivati in ospedale, il mio piedino era gia’ fuori. L’infermiera diceva che la mia presentazione era podalica. La mamma si contorceva dal dolore. Hanno chiamato Beppe per una ecografia, ma lui ha detto che non c’era il tempo. Neppure lui, nella fretta, si e’ accorto che eravamo in tre. Ricordo solo una manaccia che mi ha afferrato per la gambina; poi mi sono sentito come risucchiare in un baratro... che paura ho avuto... mi sembrava di essere portato via da un fiume in piena. Quindi ho visto la luce, e mi sono messo a piangere come un ossesso. Che male agli occhi mi faceva: adesso capisco perchè dicono che i bambini vengono dati alla luce... Ricordo anche il commento di Beppe: “Vediamo un po’ cosa abbiamo ottenuto: e’ un bel maschietto... ma e’ troppo piccolo, e la pancia e’ ancora enorme. Controlliamo se per caso ce n’e’ un altro”. Lo guardo dal fasciatoio dove mi hanno collocato sotto la calda luce di una lampada. E’ tutto sudato e si dimentica addirittura di non avere il camice. Dopo pochi minuti lo vedo tirare fuori il mio fratellino, dicendo: “come e’ piccolo anche questo!!! Sembra poco piu’ di un chilogrammo”.
La mia mamma pero’ ha ancora contrazioni, e continua a spingere. Le dicono di rilassarsi, ma lei non ce la fa. Con sorpresa di tutti, ad un certo momento spunta la testolina ricciuta della mia sorellina. Tutti corrono: “ce n’e’ un terzo. Che colpo! Ora hanno 7 figli. Speriamo solo di riuscire a salvarli. Sono cosi’ piccoli!”.
Io pero’ penso che ce la faremo. Il vino buono si mette nelle botti piccole, e noi abbiamo una gran voglia di vivere. Sentivo i commenti di Beppe che diceva: “non sono gemelli identici. Sono biovulari... altrimenti non potrebbero essere di sesso diverso”.
Identici o no, il fatto resta: noi siamo gemelli, abbiamo condiviso l’utero per nove mesi. Ora siamo nella stessa incubatrice... e ci vogliamo un sacco di bene. So che litigheremo, soprattuttto pensando che i seni della mamma sono solo due, e quindi bisognera’ fare la coda. Ma per ora non pensiamo a questa possibile crisi futura. A dire il vero il caldo umido dell’incubatrice ci culla e ci canta la ninnananna. E’ meglio schiacciare un pisolino dopo l’enorme fatica di venire al mondo.

Ciao. La tripletta.
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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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