sabato 1 novembre 2008

Lettera dal Dr. Max Albano


Eccomi a casa dopo un mese di servizio a Chaaria come “ chirurgo visitatore”. E’ la mia seconda volta e mi sono ritrovato con facilita’ nell’ ambiente familiare lasciato un anno fa.
Mi hanno accolto I Fratelli che si ricordavano di me, le Suore e altri Volontari tornati con entusiasmo a “fare le ferie”, lavorando intensamente nell’ospedale o con I Buoni figli: le bravissime Infermiere Katia, Monica e Silvia, gia’ tre volte qui e la new entry Pinuccia che si e’ inserita, dal primo giorno, con naturalezza e facilita’, imparando molto velocemente le cose per lei nuove e che, fermandosi per qualche mese, dara’ sicuramente un grande aiuto a Fr.Beppe; e poi Valentina e Lorena, che non essendo infermiere, hanno passato tutto il loro tempo con i Buoni Figli di cui raccontavano, la sera, con umorismo ed affetto gli aneddoti piu’carini e teneri.
Ho conosciuto poco Ezio, peccato e’ partito presto, mi e’ rimasta la sensazione di una persona intensa e dolce.
Poi in questa altalena emozionale altri arrivi, l’ingegner Valentina che si coccola i Buoni Figli e Davide studente di Medicina molto attivo in reparto ed in Sala Operatoria. Nell’ultima settimana si e’ aggiunta infine Laura I.P. in Dipartimento d’urgenza, che nei suoi pochi momenti liberi corre dagli orfanelli di Suor Oliva.
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Questo tornare a Chaaria e ritrovarsi in sintonia con l’Ospedale ed il suo Personale, con I Fratelli e con gli altri Volontari ha, a mio parere, una spiegazione semplice:
1) tutti, medici, infermieri e volontari non sanitari sono messi in condizione di lavorare efficacemente. E’ fondamentale, me l’hanno insegnato precedenti esperienze, avere una organizzazione in Ospedale che ti permetta di lavorare autonomamente con i Malati ed e’ importantissimo un riferimento continuo (per tutti ma in particolare per me) come Fr. Beppe sempre disponibile a parlare, discutere i casi, condividere le decisioni.
2) si vive in un clima sereno di interscambio, con ruoli non necessariamente precisi, il lavoro e’ scandito dal tempo, da quanto lontano da Chaaria vivono i malati, dall’arrivo o no dei matatu quando piove: finche’ c’e un ricoverato da vedere o un out-patient da visitare, si resta in Ospedale e questo non pesa a nessuno.
Le frequenti urgenze, soprattutto parti cesarei, vengono affrontati con le persone a disposizione, tutte le volontarie si sono prestate a strumentare, ad assistere l’anestesista Jesse, a fare assistenza di sala, a trasferire i malati in barella.
Non mancano ovviamente i momenti di difficolta’, o di sconforto anche per le obbiettive limitazioni della struttura ma poi li si supera e prevale la voglia di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”: si cercano e si inventano soluzioni o si accetta la sconfitta.
Piu’ ancora dello scorso anno mi ha meravigliato il numero di pazienti che arrivano da molto molto lontano, Isiolo, Marsabit, ore o giorni di viaggio: evidentemente il passa parola, di che e’ stato curato bene, ha allargato il cosiddetto bacino di utenza e Chaaria deve essere orgogliosa di questo.
Lo scorso anno, salutando Beppe ed i Fratelli alla partenza, dissi che non sapevo se sarei tornato in Africa, ma in questo caso senz’altro a Chaaria. Ho mantenuto la promessa e la rinnovo per il futuro con le stesse modalita’ e l’inevitabile “se”.
Oltre alle persone che ho citato, vorrei dedicare un ringraziamento anche al bravo cuoco, a Joseph autista calmo e sorridente ed un abbraccio speciale a Fr. Lorenzo, la prima e l’ultima persona che vedi in Kenya.

Max Albano

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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