domenica 2 novembre 2008

Perdere un bambino è un'esperienza durissima


Quel giorno avevo tre trasfusioni, oltre ai soliti tanti pazienti.
Alla sera verso le 19.30, mi sono accorto che la mamma di uno dei bimbi aveva aperto il gocciolatore al massimo pensando di dare più sangue al bambino e di farlo guarire più in fretta…
Mi sono precipitato quando già il bambino era agonizzante: gli erano scoppiati i polmoni e gli usciva sangue dalla bocca e dal naso (noi medici diciamo che aveva avuto un edema polmonare). Mentre lo rianimavo (senza guanti…non c’era tempo) il bimbo mi guardava con una ingente “fame d’aria” e con occhioni spaventati e imploranti; e quando già speravo che se la sarebbe cavata, è spirato tra le mia mani quasi improvvisamente. Sono andato in crisi…volevo scappare senza parlare con la mamma; ma subito mi hanno chiamato perché c’era una donna in travaglio con il battito cardiaco irregolare. L’ho visitata in barella e le ho detto di stare lì; intanto noi avremmo preparato per il cesareo. Non so cosa le sia passato per la testa: ha deciso di andare al gabinetto fuori nei servizi esterni normalmente usati dai pazienti ambulatoriali e situati vicino al cancello. Quando torno non la trovo più; la cerchiamo ovunque…non c’è.
Dopo 15 minuti sento chiamare dal buio del cortile; cerco il guardiano che ha la torcia elettrica; andiamo e ci rendiamo conto che aveva partorito nella toeletta. Il bambino, ancora collegato al cordone, non respirava e la placenta era ancora dentro. Abbiamo preso una carrozzina, io tenevo il bambino per i piedi e lo percuotevo sulla schiena. In sala parto abbiamo tagliato il cordone ombelicale e poi abbiamo iniziato la rianimazione: ossigeno, farmaci, ambu… Dopo 45 minuti il bimbo ha iniziato a respirare da solo e dopo un’ora il primo grido. Intanto Ann aveva sistemato la mamma, che sostanzialmente stava bene. Tra me pensavo: ne ho perso uno, ma ne ho salvato un altro.
Ma non mi fermare perché un’altra donna sta per partorire: questa volta tutto bene, il parto è regolare…nasce un bimbo di 3.500 kg, bianco come me.
Intanto è già mezzanotte e tutto il materiale è ancora da sterilizzare.
Così passano le mie giornate, piene di successi e di terribili sconfitte…un bimbo che muore è un’esperienza bruttissima... ma domani si ricomincia.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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