Nello stesso giorno avevo fatto un raschiamento ad un’altra donna per un aborto spontaneo. Questa piangeva perché era la seconda volta che perdeva il figlio e lei vorrebbe tanto averne uno. Quell’altra rideva perché ce l’aveva fatta a far fuori il figlio non desiderato.
Mentre ancora la mia mente è disturbata da questi pensieri, sono stato chiamato urgentemente a rianimare un bambino di 4 anni, appena arrivato in ospedale da molto lontano: era gonfio come un pallone su tutto il corpo, ma profondamente emaciato sul volto. Durante gli interminabili minuti in cui ho tentato la rianimazione del piccolo, la mamma era stata mandata in doccia per lavarsi ed indossare l’uniforme dell’ospedale.
Quando la mamma è uscita dai servizi, ancora umida dopo il bagno salutare, mi si è avvicinata, ha guardato il bimbo, poi si è appoggiata con il suo braccio contro il mio, e mi ha chiesto: “se n’é già andato via?”. Io ho posto la mia mano sulla sua spalla e le ho sussurrato: “ Sì, se n’è andato così in fretta e non tornerà più”.
Allora la disperazione della mamma è stata grande, ma muta. Ha toccato il corpicino ovunque; ha posto la sua bocca vicino a quella del figlio per sentire se ancora respirava. Le lacrime scendevano copiose, ma lei non diceva neppure una parola. Dopo attimi che mi sono parsi un’eternità mi ha fatto solo una domanda: “E’ andato in Paradiso?”. Io mi sono sentito un nodo alla gola che mi ha impedito di parlare per un po’. L’ho solo tenuta per un braccio ed ho alla fine balbettato: “certamente!”.
Sono ancora sotto la forte impressione emotiva di quanto è appena successo anche se purtroppo è una scena quasi quotidiana per noi: quanta sofferenza innocente, quanti bambini che si potrebbero salvare se solo fossero nati in Italia. Quante giovani mamme non ce la fanno e soccombono alla malattia.
Ancora una volta vi dico grazie perchè in questo nostro cammino di alti e bassi noi non ci sentiamo soli e sappiamo che tutti voi ci sostenete con la vostra preghiera ed amicizia.
Il nuovo insuccesso non ci spaventa.
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