giovedì 19 febbraio 2009

Ann, vittima dei nostri errori


E’ arrivata da me con forti dolori addominali ed ho fatto diagnosi ecografica di PID, cioe’ di malattia pelvica infiammatoria. L’ho messa in antibiotici dicendole che sarebbe migliorata prestissimo. All’eco vedevo delle masse in corrispondenza delle ovaie. Lei lamentava pure dei bruciori allo stomaco da varie settimane ed ho quindi instaurato anche un protocollo per eventuale ulcera gastroduodenale.
Dopo il primo ciclo di medicine, la situazione e’ comunque rimasta pressoche’ invariata. Tanto dolore addominale, e nessun cambiamento riguardo alle masse che avevo visto precedentemente.
Ho quindi deciso di non fidarmi della mia diagnosi e di mandare la paziente in un altro ospedale dove operavano anche dei dottori americani. Speravo che la ricoverassero ed invece anche la’ i sanitari hanno sollevato lo stesso sospetto diagnostico ed hanno ripetuto un secondo ciclo di terapia. La donna e’ venuta a dirmi che cosa le avevano detto, ma sembrava non credere alle nostre ipotesi, anche se le mie opinioni combaciavano con quelle dei colleghi d’oltreoceano. Ha comunque accettato di sottoporsi al corso di medicine proposto ed e’ andata a casa.
L’ho rivista dopo circa tre settimane e sono rimasto letteralmente sconcertato dallo scenario: Ann era completamente emaciata. Aveva scritto in faccia che si doveva trattare di un brutto tumore. Aveva le gambe gonfissime e non riusciva piu’ a camminare senza essere sostenuta. La accompagnava il marito, che tra l’altro e’ un nostro dipendente. Anche lui aveva scritto in faccia il terrore di una diagnsi presunta, che diventava pero’ quasi evidente anche ad un occhio profano. Ho ripensato alla situazione familiare di Ann: alla sua giovane età, ai suoi due bambini piccoli, all’ultimogenito morto l’anno scorso di una forma molto aggressiva di leucemia....
Ho rifatto l’ecografia e quello che ho notato non era affatto incoraggiante: l’addome era ora pieno di fluido (ascite) e le masse erano molto piu’ grandi. Ora sembravano palle da tennis attorno all’utero.
Ann era molto anemica. L’ho quindi ricoverata per trasfusione e poi ho deciso di mandarla a fare una TAC dell’ addome. E’ un esame costoso, ma ho ritenuto che dovevamo fare questo sacrificio, sia in considerazione della gravita’ della situazione, sia perche’ Ann era la moglie di un nostro operaio.
La Tomografia ci ha suggerito la diagnosi di tumore dell’ovaio in fase avanzata, con presenza di carcinosi peritoneale. E’ stata una doccia fredda, ma, con il senno di poi, tutti dicevano che avremmo dovuto pensarci prima. Ora la mamma era cosi’ grave che forse non valeva piu’ la pena tentare un intervento. Ma il marito, in preda alla disperazione, ha detto che bisognava tentare, anche se esisteva una sola possibilita’ su 1000.
Abbiamo quindi contattato un bravissimo chirurgo, ed abbiamo trasportato Ann in un altro ospedale dotato di una sala operatoria molto attrezzata. L’operazione e’ stata lunga e difficile, ma il chirurgo sembrava soddisfatto del suo lavoro: secondo lui aveva tolto praticamente tutto il tumore. Gli ho chiesto di mettere una mano in addome e di controllare tutti gli altri organi. E’ stato impressionato dallo stomaco, che gli appariva duro e con pareti quasi lignee. “E’ strano – gli ho detto – perche’ il radiologo alla TAC segnalava uno stomaco normale... e di solito ci azzecca sempre”.
“Speriamo che abbia ragione lui – ha continuato il chirurgo – ma a me questo stomaco non piace affatto”.
Passano i giorni ed il recupero post-operatorio di Ann e’ piu’ o meno normale, anche se dobbiamo continuare a trasfonderla spesso. Poi arriva il risultato dell’esame istologico, che e’ una bomba per tutti noi: “Metastasi ovariche e peritoneali da carcinoma dello stomaco”. Ci eravamo sbagliati tutti.
Ho quindi informato il chirurgo che pero’ mi ha detto che non si sarebbe sentito di toccare una paziente in quello stato. Poi mi ha aggiunto: “Non farti neppure venire in mente di tentare una chemio, perche’ tanto questo tumore non rispondera’”.
Ann e’ rimasta da noi ancora per alcune settimane, ed ha continuato a spegnersi lentamente come una candela. Ho assistito al suo dolore nel vedere la vita sfuggirle; ho contemplato le lacrime del marito e gli sguardi spaesati dei suoi bimbi quando venivano a trovarla in ospedale.
Ora Ann e’ sepolta non lontano dal nostro centro. Il marito sembra uno zombi e non ha ancora trovato la pace del cuore. I figli sono totalmente disfatti e vivono insieme ai nonni.
Io continuo a pensare a tutti noi che non siamo arrivati alla diagnosi corretta. Lei ce lo diceva sempre che aveva mal di stomaco, ma noi non ci abbiamo dato peso.
Chissa’, magari se non sbagliavamo la prima diagnosi, l’intervento sarebbe stato possibile, e magari Ann sarebbe viva... Ma purtroppo e’ inutile piangere sul latte versato.

Fr Beppe



1 commento:

Anonimo ha detto...

Suppongo che fosse giovane e quindi in genere il cancro dello stomaco è molto aggressivo.La comparsa del dolore non è un segno iniziale.Probabilmente ovunque l'esito sarebbe stato lo stesso.Il Krukemberg non perdona. Io non li opero,è un inutile accanimento. Sai che L'onnipotenza o è divina,per chi crede,o è un delirio.Chirurgo di 58 a.35a.di esperienza.Vorrei venire da te,mi conosce Luciano Cara di cagliari. Non me la cavo con l'inglese . Sono disponibile anche subito. Fammi sapere.


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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