martedì 24 febbraio 2009

Un raggio di speranza per l'AIDS?

Secondo dati riportati dal New England Journal of Medicine in novembre scorso, un paziente sarebbe stato “accidentalmente” curato dall’HIV attraverso un trapianto di midollo. All’ inizio sembrava un dato solo aneddottico, ma ora la comunita’ scientifica sta considerando il caso con serieta’ in quanto il paziente sarebbe stato trapiantato due anni fa ed oggi e’ ancora negativo. Per cui sono ora in corso dei seri studi per verificare la applicabilita’ di questa metodica come terapia su ampia scala.
Questo dato scientifico arriva in un momento in cui anche all’Universita’ di Nairobi si stanno intensificando gli studi su un gruppo di prostitute operanti negli slum di Korogocho e Kangemi, le quali da quasi un decennio rimangono negative pur essendo a contatto quasi quotidiano con il virus HIV: con l’aiuto della comunita’ scientifica internazionale, a Nairobi si cerca di trovare il gene che dona questo tipo di immunita’ al virus.
La metodica usata in quel caso di trapianto e’ comunque molto costosa e necessita di tecnologie relativamente nuove chiamate “terapia genica”: in pratica si tratta di inserire un gene “modificato in modo da essere resistente all’ HIV” in cellule staminali prelevate dal midollo osseo di un paziente... e poi di reiniettare nello stesso paziente le cellule ora diventate resistenti, dopo l’ingegneria genetica. Esse quindi si replicherebbero e darebbero all’organismo la capacita’ di impedire al virus di entrare nelle cellule target.
Come sapete invece gli studi ed i trials sui vaccini anti-HIVnon stanno dando i risultati sperati. Noi che leggiamo questi dati stando all’equatore ci sentiamo lontani anni luce, ed anche se proviamo un certo incoraggiamento da questi risultati, ci chiediamo comunque: “anche se tutto questo funziona davvero, quando sara’ disponibile a prezzo accessibile anche ai piu’ poveri del mondo?”.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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