venerdì 13 marzo 2009

Alice e Maia tornano in Italia

Sono partite oggi, dopo un mese e mezzo di lavoro duro a Chaaria. Fisicamente sembravano così esili, ed invece si sono rivelate dure come l'acciaio nel portare la fatica fisica di ogni giorno, e buone e sensibili verso tutti gli ammalati.
Erano giunte cariche di tutte le loro ansie, come si addice a delle neolaureate, che hanno l'impressione di non sapere nulla e di non saper collocare al momento giusto le conoscenze che l'università ha spesso appiccicato al cervello in modo poco pratico.
Inoltre, certo c'è stato il primo duro impatto con quel marasma che è il Cottolengo Mission Hospital: reparti strapieni di 160 pazienti con patologie spesso sconosciute alla medicina europea. Poco personale medico e tantissime esigenze. Orientarsi a capire le calligrafie degli infermieri, le abbreviazini che tanto sono amate dalla lingua inglese. E poi, la difficoltà di superare il primo impatto: per loro è stato graduale il conoscere sia me, che gli altri membri della comunità o dello staff. Ci siamo prima squadrati, analizzati, spiati... ma questo è stato un tirocinio necessario, che ci ha portato a comprenderci bene, alla volontà di aiutarci a vicenda e di spenderci insieme per i nostri poveri.
Infatti il primo periodo di reciproca conoscenza ha poi lasciato il posto ad una seconda parte della esperienza tutta in discesa: non c'era più bisogno di dirci nulla. Sapevamo cosa all'altro faceva piacere e ci dividevamo i compiti in modo da dare sempre il meglio agli ammalati.
Maia è diventata quindi la nostra addetta alla sala parto e a tutte le incombenze ginecologiche. Si è quindi presa cura della pediatria, a cui davvero io non dovevo più pensare.
Alice si è occupata di tutti i pazienti adulti, oltre che della cardiologia e della piccola chirurgia. E' stata una divisione dei compiti ordinata e quasi automatica, che ci ha incastrati come i tasselli di un puzzle.
Poi sono venute le ferie del dott. Ogembo, e questo ha definitivamente lanciato le dottoresse. Senza di loro non avrei certamente potuto gestire la marea di pazienti ambulatoriali (ora in media vicini ai 400 al giorno). L'ambulatorio le ha anche stimolate a studiare, ad approfondire: sì, Chaaria è anche questo: senti il dovere di studiare, perchè sai che dalla tua competenza dipende la vita del paziente che ti sta davanti. Non hai primari da contattare; ci sei solo tu ed il poco che sai, e di fronte a te hai una persona inerme che crede tu sia onnisciente.
Alla fine della esperienza Alice e Maia gestivano senza difficoltà le nostre patologie tropicali. Alice era bravissima nella piccola chirurgia, e Maia quasi poteva fare un cesareo da sola.
L'unica fregatura, almeno per il sottoscritto, è che, quando i volontari diventano proprio bravi ed autonomi, poi arriva subito il giorno della partenza.
Sono contento del pezzo di vita che abbiamo trascorso assieme. Sono orgoglioso di aver contribuito, anche se in minima parte, a far rinascere in loro la passione per la medicina.
Da loro ho anche imparato molto: sempre io sono stato un mendicante di cultura, che raccoglie cucchiaiate di sapere da tutti, soprattutto da chi è giovane e le cose non se le è ancora dimenticate come il sottoscritto.
Spero che anche loro abbiano imparato qualcosa da Chaaria, che è sempre una fucina di esperienza, di conoscenza e di totale dedizione.
Grazie, Alice. Grazie Maia.

Fr Beppe


AliceMaia.jpg


1 commento:

aly ha detto...

eccomi a casa, ci ho messo qualche giorno per ambientarmi di nuovo, salutare tutti, riguardare e sitemare le foto.... che nostalgia! chaaria mi manca, con i suoi rumori (che non sono quelli delle auto o dei motorni che la mattina mi svegliano qui), i suoi colori sgargianti, il lavoro duro ma così gratificante! mi manca tutto, il caldo, le risate con celina, i miei pazienti, e le chiacchierate serali con maia e beppe! l,idea di dover tornare nel mio reparto dove mi fanno scannerizzar cartelle mi fa star male!!!!!
spero di tornare presto!!! i miei genitori sono intenzionati a venire per tutto il mese di agosto, se non inizio a lavorare (finalmente!!!) magari verrò con loro!

saluti,
alice
:-)


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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