domenica 26 aprile 2009

Alcune suggestioni sudanesi e non...

Il rientro a Chaaria è stato un tripudio ed una fatica insieme. Quanti abbracci, quanti sorrisi affettuosi da parte di chi lavora con me. Ma anche tanti malati che mi aspettavano: oggi, pur essendo domenica, ho deciso che dovevo recuperare il tempo perduto. C'erano pazienti che aspettavano un Sudan2.jpgECG; altri in attesa di una ecografia; altri ancora in reparto da alcuni giorni per essere messi in lista operatoria domattina. E' stata una domenica lavorativa, a dire il vero non priva di confusione mentale da parte mia: il mio corpo, un po' provato dalla fatica di questa settimana, si muoveva bene, ma la mente scappava spesso al Sudan, a quella gente nera come il carbone (sicuramente più scuri dei Kenyani) ed alti come delle torri; alle loro case fatiscenti, alla loro sofferenza e povertà generate da decenni di guerra.
Stamattina, durante la Messa con i malati, ho ripensato alla cappella di bambù dell'ospedale di Mapourdit, e mi sono sentito in comunione con loro che celebravano esattamente nello stesso momento (non c'è differenza di fuso orario tra le due Nazioni).


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Ma oggi per Chaaria è anche un giorno di grande commozione e di saluti, con le lacrime agli occhi: i giovani Aspiranti e Provandi sono partiti per Nairobi insieme a Fr Giancarlo, per iniziare una nuova esperienza formativa che li prepari al noviziato in un ambiente meno confusionario di quello di Chaaria. Di colpo la nostra comunità si trova con sei elementi in meno, e certamente ci sentiremo un po' soli, in quanto saremo pochi.
Li vedete qui nella foto insieme a Fr Giancarlo. Molti volontari li hanno conosciuti. Contiamo anche sulla vostra preghiera per la loro nuova esperienza.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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