domenica 26 aprile 2009

Viva il Blog


Cara Nadia,
ringraziandoti moltissimo per il grosso lavoro che fai, ti mando un allegato con alcune riflessioni sul blog e ti ho copiato stralci delle mail che riguardano questo argomento che ci siamo scambiati con Beppe in modo che tu capisca anche il senso e la finalita del mio scritto.
Io purtroppo non so se e quando potrò andare mai a Chaaria, ma questo non mi impedisce, proprio grazie alla vicinanza permessa dal blog, di sentirmi molto legata a tutti voi con un vero coinvolgimento affettivo, imprevisto, inspiegabile e stupendo e di cercare di fare qualcosa da qua per Chaaria; scrivendo mi sembra di tirare un filo tra Kenya e Italia e un filo è pur sempre parte di una trama. Grazie Nadia.
Un saluto affettuoso e un abbraccio.

Daniela Albano


PS Il nuovo blog è più svelto e agile e questo è stato un vero progresso.



W IL BLOG DI CHAARIA

In occasione della nascita del nuovo blog, vorrei fare alcune considerazioni, senza entrare nel merito se questo è meglio o peggio del precedente.
Mi collego abbastanza spesso al sito e ogni volta che lo visito mi sorprendo per il tempo che rimango al computer a spostarmi tra gli scritti e le foto.
Spesso ricevo lettere o comunicazioni da Associazioni che operano nel campo della solidarietà in Italia, a volte nella mia città, che descrivono le loro attività, i loro intenti; frequentemente condivido i loro obiettivi e penso che dovrei rivolgere a loro il mio aiuto.
Poi, piano piano, quelle lettere incominciano a girare da un mobile all'altro; la risonanza dentro di me svanisce ed io mi dimentico di loro e delle mie buone intenzioni.
Ho capito perché mi succede questo quando mi sono trovata ad aprire per la prima volta il blog di Chaaria e ho incominciato a leggere i resoconti delle giornate, dei problemi che vengono affrontati.
Ecco che sparisce la distanza, e incomincio a sentirmi lì in quel luogo che, giorno dopo giorno, è diventato familiare; nei racconti non si parla solo di obiettivi, di progetti, ma di vita vera, con una sua dura routine, rotta ogni giorno da eventi diversi, finestra su una realtà a noi lontana, ma percepita come vicina.
Cresce il sentire e con quello la sensazione di essere parte di qualcosa che si installa dentro di me, come se le esperienze solo lette siano in qualche da me modo vissute, come se un po' mi appartenessero.
Virtuale? Effetto dei neuroni specchio? Forse, ma con un impatto molto significativo che crea un sentimento di affiliazione.
Credo che senza i resoconti della vita e delle vicende che accadono nell'Ospedale, questo blog assomiglierebbe ai comunicati delle varie Associazioni che contattano le persone in cerca di contributi.
Senza la descrizione delle malattie, degli interventi chirurgici eseguiti nell'urgenza e nella speranza; senza il sangue, l'odore, il sudore che ti sembra di sentire, le flebo appese alle piantane, le zanzariere, testimoni della sottostante tragedia della malaria; senza le notizie sui parti, sulle nascite, senza le foto dei neonati, dei malati, dei bambini, dei buoni figli, dei volontari; senza i racconti del bisogno, delle piogge, del fango nelle strade, della notte africana, del buio...il lettore resterebbe lontano, chiuso nella propria realtà e poco alla volta si dimenticherebbe di questo sperduto Ospedale nel cuore del Kenya, come io mi dimentico delle lettere sul mobile di casa mia...ma non di Chaaria.
Penso che questo blog serva moltissimo perché, attraverso la comunicazione, crea un interscambio di pensieri, emozioni, slanci e risorse, di cui Chaaria ha tanto bisogno.
Non c'è stata persona alla quale io abbia suggerito di visitare il blog, che non sia stata colpita da ciò che leggeva e abbia voluto dare anche un piccolo contributo.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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