sabato 25 aprile 2009

Casa dolce casa...


Questa mattina dopo colazione abbiamo salutato la comunita' che ci ha ospitati con tanta cordialita', abbiamo abbracciato lo staff della sala operatoria che ha passato lunghissime ore con noi per cinque giorni interi, e siamo stati accompagnati a Rumbek da Fratel Andres. Il viaggio verso il capoluogo di questa regione del Sud Sudan dura circa due ore e mezza, ed e' in se stesso come un libro aperto che parla dei problemi di questa poverissima nazione. Non riesco a staccare gli occhi dal finestrino, ed osservo con il cuore pieno le condizioni di vita della gente. Mi impressiona ancora molto vedere tanti bambini completamente nudi che rincorrono l'automobile per la strada. Mi fanno tanta tenerezza le donne, mentre con il loro tradizionale bastone, macinano il mais al di fuori della capanna. Anche gli uomini, malvestiti e dall'aspetto vecchieggiante anche quando hanno poco piu' di vent'anni, intenti a inseguire alcune mucche malconce, mi riempiono il cuore di tristezza.
Poi l'aereo ha rullato sulla pista sterrata di Rumbek, ed si e' lasciato alle spalle questa nazione tribolata. In poco piu' di un'ora e mezza il nostro velivolo e' arrivato a Lokichokio, in Kenya: anche qui il paesaggio e' povero, ma si sente nell'aria che la guerra e' lontana e non ci ha toccati per lungo tempo.
Un altro salto del bimotore e sono a Nairobi, dove Fr Lorenzo mi sta aspettando per tornare a Chaaria immediatamente: non voglio passare la notte a Langata. Chaaria mi manca gia' molto e preferisco arrivare oggi... magari ci saranno chiamate questa notte e voglio essere disponibile da subito.
Casa e' sempre casa, ed alla fine tutti sentono la nostalgia di tornarci.


Fr Beppe



FrBeppeMascherina.JPG


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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