domenica 12 aprile 2009

Easter - Pasqua


La veglia pasquale e’ durata un’eternita’. Cinque ore di messa a cui si aggiunge un’ altra ora di attesa prima che la funzione iniziasse… purtroppo qui e’ spesso cosi’: pian piano ci si abitua al cosiddetto “African time” e non ci lamentiamo: anzi, cogliamo il tempo di attesa davanti al falo’, come un momento utile per un po’ di meditazione.

Battesimo.jpgDurante la celebrazione ci sono stati anche i battesimi di alcuni bimbi, tra cui quello di Hellen Gatwiri, figlia di Grace Gacheri che alcuni volontari conoscono.
Siamo usciti di Chiesa alle 23.30 con lo stomaco che borbottava reclamando la cena. Abbiamo camminato con attenzione nel buio pesto di una notte senza luna.
Arrivati in ospedale abbiamo trovato la sorpresa: quattro persone da suturare, in seguito ad attacchi con machete: evidentemente questi pazienti avevano scelto di non andare in chiesa per la veglia!
E’ stato un lavoro lungo, reso un po’ piu’ snello dalla presenza dei due chirurghi italiani che ci hanno aiutati a cucire. Purtroppo pero’, a letto ci siamo andati dopo l’una di notte, e questo ha reso il nostro riposo molto breve.
Ci siamo svegliati come zombi, con gli occhi gonfi e lo sbadiglio facile: la messa nella lavanderia dell’ospedale pero’ e’ stata bellissima. C’erano sia i pazienti che i Buoni Figli; lo staff ed i fratelli hanno organizzato dei bellissimi canti con qualche danza semplice e trascinante. L’uso dei tamburi e della kayamba ha reso l’eucaristia ancor piu’ calda: e’ stata davvero una messa di Pasqua.
Ma subito dopo, il Chaaria Hospital si e’ presentato per quello che e’: cesareo urgente per eclampsia; altri tre da programmare durante il giorno a causa di disproporzione cefalo-pelvica, un tentativo di suicidio con anticriptogamici, uno stato di male epilettico in corso di malaria cerebrale, ed un raschiamento per aborto incompleto ed emorragia profusa. Pur in questo marasma, oggi ho avuto modo di pensare molto al giuramento di Ippocrate che tutti i medici osservano… Infatti all’uscita dalla sala operatoria, dopo uno dei cesarei, ho trovato un gruppo di nostre infermiere che discutevano animatamente.
Stavano parlando della giovane ventenne che si era fatta inserire un bastoncino in cervice per porre termine alla gravidanza (le nostre nonne usavano il ferro da calza). Erano scandalizzate perche’ si trattava di una gestazione avanzata di circa 4 mesi, e dicevano che la malata era colpevole di un atto abominevole e che avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
Con calma io ho cercato di farle ragionare: “Noi non siamo Dio… lasciamo a Lui il compito di giudicare… Ora davanti a noi c’e’ solo una poveretta che sanguina, e che potrebbe anche morire se non la aiutiamo… E’ estremamente importante che noi medici ed infermieri ci asteniamo da qualsiasi giudizio… a noi non interessa se una persona e’ colpevole o innocente: il nostro compito – come ci ricorda Ippocrate – e’ quello di schierarci sempre per la vita, senza mai fare nulla che possa in qualche modo metterla in pericolo… Sono sicuro che il Signore sapra’ toccare il cuore della ragazza e farla riflettere. Ora diamoci da fare”.
La risposta dello staff e’ stata ottima: un giro di sguardi che significavano totale supporto per quanto avevo detto… e poi tutti ai loro posti per soccorrerla in fretta.
“Le faremo il regalo di Pasqua, aiutandola senza chiederle niente e senza rimproverarla!”.
“ E’ cosi’ che mi piacete… Ora al lavoro: prepariamo la sala e facciamo le prove crociate su due sacche di sangue”

Fr Beppe Gaido




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PS: LINA E’ RICOVERATA A CHAARIA PER TRASFUSIONE. SOFFRE TANTISSIMO ED URLA DISPERATA. ORA SIAMO GIUNTI ALLA MORFINA. LEI PERO’ NON SI VUOLE ARRENDERE, E QUANDO RAGGIUNGEREMO UNA EMOGLOBINA DI 10 g, LA DOVREMO RIACCOMPAGNARE A NAIROBI PER ULTERIORI CICLI DI CHEMIOTERAPIA


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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