lunedì 20 aprile 2009

Finalmente Mapourdit


La giornta inizia prestissimo, alle 5, quando Fr Lorenzo bussa alla mia porta e mi dice che e’ tempo di andare all’aeroporto. E’ dura alzarsi perche’ di notte una zanzara mi ha costantemente tormentato e non mi ha lasciato dormire.
Alle 5.30 gia’ eravamo a casa del Dr Tom, il nostro relatore, ed insieme siamo andati all’aeroporto Wilson.
Il volo e’ partito puntuale. Piccolo aereo ad elica con non piu’ di 15 persone a bordo; atterraggio a meta’ strada, a Lokichokio e poi di nuovo in cielo verso il Sudan.
L’ultima mezz’ora prima dell’arrivo a destinazione e’ stata terribile, con turbolenze micidiali ed il piccolo velivolo sbattuto di qua e di la’, quasi come se si dovesse spezzare in due.
Alla fine pero’, anche se con lo stomaco annodato, siamo atterrati sulla pista sterrata di Rumbek: imperversava una tempesta di sabbia ed il vento era cosi’ violento da rendere difficoltoso il cammino.
Dopo le poche formalita’ di frontiera ci siamo trovati fuori: davanti a noi solo capanne di paglia e fango, bambini seminudi e gente dai vestiti stracciati. Che poverta’ terribile ho visto a Rumbek… Con nostra grande sorpresa, ad aspettarci c’era il Vescovo in persona, che ci ha anche offerto uno spuntino presso una comunita’ di Gesuiti. E poi, via verso Mapourdit: solo strada sterrata che dopo pochi chilometri e’ diventata una pista ai limiti delle possibilita’ anche per le nostre due Toyota. Spesso poi il sentiero si trasformava in fiume da guadare: attorno a noi abitazioni poverissime di paglia e fango sparse in una campagna verde per la stagione delle piogge e pochissimo abitata. Tantissimi bambini giocavano nelle pozzanghere completamente nudi; altri erano vestiti di una maglietta stracciata e basta (erano cioe’ senza mutande ne’ pantaloni).
E poi eccoci a Mapourdit, dove ci ha accolto una comunita’ comboniana stupenda, e dove immediatamente ci siamo immersi nelle attivita’ di formazione e di servizio: oggi il nostro tutor ha visitato 10 pazienti e ci ha spiegato le tecniche chirurgiche che ci fara’ vedere domani. Anche noi dormiamo in una capanna di paglia, ma questo e’ bello e ci fa sentire piu’ vicini a tutte quelle persone che vivono in tuguri indescrivibili a pochi passi dalla missione.
I miei occhi ora si chiudono e non riesco a dirvi altro. Spero di potervi raccontare domani dopo il tour de force in sala operatoria ed in classe.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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